Fisco

Dovuti gli oneri condominiali anche se il bene è sotto sequestro

di Donato Palombella

Non è possibile sottrarsi al pagamento degli oneri condominiali sostenendo di non aver utilizzato gli immobili o i servizi comuni neanche nel caso in cui i beni siano sotto sequestro penale. L'obbligo di provvedere al pagamento degli oneri condominiali, infatti, è legato alla proprietà dell'immobile e prescinde dal concreto utilizzo dello stesso. A ricordarlo è stata la seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 febbraio 2016, n. 3354.
Il mancato pagamento innesca il decreto ingiuntivo
Il condomìnio ottiene un decreto ingiuntivo, pari ad oltre 6 milioni di vecchie lire, contro un condòmino che rifiutava ostinatamente di provvedere al pagamento degli oneri condominiali relativi agli anni 1994, 1995 e 1996. Il condòmino recalcitrante non demorde, si oppone al decreto ingiuntivo, ma il Pretore respinge l'opposizione e conferma l'ingiunzione di pagamento. La sentenza viene confermata anche dalla Corte di appello, in quanto l'obbligo dei condòmini di corrispondere i contributi condominiali trova il proprio fondamento nelle delibere approvate dall'assemblea, peraltro non impugnate. La Corte territoriale sottolinea, in proposito, che non è sufficiente invocare la illegittimità delle delibere quando le stesse non siano state regolarmente e formalmente impugnate e, quindi, siano divenute ormai efficaci.
L'opposizione al pagamento deve riguardare l'efficacia della delibera
Il condòmino moroso cerca di sottrarsi al pagamento degli oneri condominiali sostenendo che le delibere sarebbero illegittime, anche se non formalmente impugnate. La Corte territoriale, in proposito, rileva che il singolo condòmino, che voglia opporsi ad un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, che trovi il proprio fondamento su una delibera assembleare che approvi lo stato di ripartizione delle spese, non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale ma solo questioni riguardanti l'efficacia della medesima. In altre parole, il condominio che non abbia impugnato nel termine prescritto la delibera di ripartizione delle spese, non può impugnare il successivo decreto ingiuntivo sostenendo che il deliberato assembleare è illegittimo. La delibera non impugnata, infatti, è diventata ormai esecutiva e costituisce un titolo di credito del condomìnio atto a comprovare l'esistenza del credito del condomìnio nei confronti dei diversi condòmini. Di conseguenza, il condòmino moroso, non solo viene condannato a sostenere gli oneri condominiali, ma anche al pagamento delle spese legali.
Vietata l'opposizione basata sulla validità dell'assemblea
Ove il condòmino decida di proporre opposizione all'ingiunzione di pagamento, non può sollevare questioni relative alla validità del titolo in base al quale agisce il condomìnio (ovvero alla delibera assembleare) in quanto in tale sede si può discutere solo dell'esistenza e dell'efficacia della delibera. In sede di opposizione, infatti, il condòmino può solo contestare la validità del decreto ingiuntivo ma non può eccepire questioni relative ad eventuali vizi del deliberato assembleare che costituirebbero motivi di annullabilità. Gli unici vizi potrebbero essere quelli relativi a motivi di nullità del deliberato assembleare o, in ipotesi estreme, di assoluta inesistenza (il che potrebbe accadere quando l'assemblea sia stata convocata da un soggetto non legittimato). I motivi di annullabilità del deliberato assembleare, infatti, possono essere fatti valere solo impugnando il verbale dell'assemblea, sempre che i termini non siano ormai decorsi.
Viene eccepita la mancata fruibilità dei servizi
Il condòmino lamenta la mancata fruibilità dei servizi condominiali in quanto, attesa la assenza di abitabilità, era scattato il sequestro penale degli immobili e, conseguentemente, non aveva potuto godere dei beni nei periodi estivi o, comunque, ne aveva goduto in forma limitata. La Cassazione ha respinto tale eccezione per due ordini di motivi. In primo luogo, gli Ermellini sottolineano che la quantificazione degli oneri condominiali trova il proprio fondamento nelle delibere impugnate, che diventano obbligatorie nei confronti di tutti i condomini; gli Ermellini precisano, inoltre, che in ambito condominiale non trova spazio l'eccezione di inadempimento.
L'eccezione di inadempimento in materia civile
Nei contratti con prestazioni corrispettive, una parte può rifiutare di dare esecuzione al contratto quanto la controparte si sia rifiutata di dare adempiuto alle proprie obbligazioni. Se acquisto un chilo di mele, posso rifiutare di versare il prezzo se il fruttivendolo non mi consegna la merce. Il principio mira a salvaguardare l'equilibrio contrattuale evitando che una parte (l'acquirente delle mele) soffra dello scompenso derivante dall'adempimento alle proprie obbligazioni (il pagamento del prezzo) quando la controparte non abbia o non voglia adempiere alle proprie (il fruttivendolo rifiuti di consegnare le mele). Si tratta di un concetto ben noto e consolidato, che risale addirittura al diritto romano, che prevedeva il principio “inadimplenti non est adimplendum” ovvero all'inadempiente non è dovuto l'adempimento. Nel nostro ordinamento il principio è disciplinato dall'articolo 1460 del codice civile che prescrive “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.”
Eccezione di inadempimento: non si applica in materia di condominio
Nel caso in esame il condòmino riottoso cerca di invocare a proprio favore l'eccezione di inadempimento: se il condomìnio non mi ha messo nelle condizioni di godere del bene, posso evitare il pagamento. Con la sentenza in esame la Cassazione ricorda che l'eccezione di inadempimento non può trovare applicazione in materia condominiale; non è possibile sottrarsi all'obbligazione di contribuire al pagamento degli oneri condominiali contestando il mancato godimento del bene comune e/o l'erogazione dei relativi servizi. Il condomìnio, infatti, sorge automaticamente quando alcuni beni (condominiali) siano comuni a più soggetti (i condòmini) senza che sia necessario alcun atto formale. L'obbligo di provvedere al pagamento degli oneri condominiali, ovviamente pro-quota, sorge altrettanto automaticamente trattandosi di una “obbligazione propter rem” ovvero di un obbligo legato alla proprietà del bene. In linea di massima si applica il principio “chi è proprietario deve concorrere alle spese condominiali” a prescindere dall'utilizzo o meno dell'immobile e dei servizi condominiali.
Gli immobili sarebbero stati venduti
Se si fosse trattato di un film, avremmo potuto parlare di un ben congegnato colpo di scena, ma siamo nelle aule di Giustizia, ed occorre attenersi alle procedure. Siamo giunti ormai in Cassazione, e il condòmino-debitore (tenta) di giocare il proprio asso nella manica sostenendo di non essere tenuto al pagamento degli oneri condominiali richiesti con il decreto ingiuntivo, relativi agli anni 1994-1996, in quanto avrebbe venduto gli immobili addirittura nel 1992! Aggiunge, in proposito, che il trasferimento dell'immobile sarebbe stato comunicato all'amministratore di condomìnio e che quest'ultimo, in ogni caso, nel predisporre il piano di riparto, avrebbe dovuto operare con l'ordinaria diligenza, il che gli avrebbe imposto di effettuare delle visure nei registri immobiliari per accertare il diritto di proprietà dei condòmini.
La Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta totalmente questa eccezione. Il condòmino che vuole sottrarsi al pagamento degli oneri condominiali sostenendo di aver trasferito ad altri la proprietà degli immobili, deve farsi carico di fornire la prova dell'avvenuto trasferimento. Cosa ben più importante, non si può pensare che l'amministratore di condomìnio sia un detective tenuto ad effettuare delle visure presso i Registri Immobiliari in occasione di ogni assemblea. Sono i condòmini che hanno l'onere di dimostrare l'avvenuto trasferimento. In ogni caso, si tratterebbe di una questione sollevata solo in Cassazione, per cui anche le regole procedurali sarebbero state violate.
Gli oneri condominiali in caso di vendita dell'immobile
Nel caso in cui il condòmino venda l'immobile, sorge il problema di stabilire se gli oneri condominiali nel frattempo maturati debbano essere versati dal venditore o dall'acquirente. Il problema si pone con maggior rilievo nel caso in cui siano stati effettuati dei lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria. In questo caso, per risolvere il problema, almeno nei “rapporti interni” tra acquirente e venditore, in primo luogo occorre far riferimento ai possibili accordi intervenuti tra le parti. In mancanza, le spese gravano sulla parte che risulta essere proprietaria dell'immobile al momento in cui è stata assunta la delibera assembleare che disponeva l'esecuzione dei lavori. La delibera assembleare, infatti, assume valore costitutivo dell'obbligazione. Quindi, ove le spese siano state deliberate antecedentemente alla data di stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, anche se le opere, realmente, sono state eseguite, in tutto o in parte, in epoca successiva
alla vendita (Cassazione, Sez. II Civ., 3 dicembre 2010, n. 24654).

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