Fisco

Tagliare le tasse sulla casa per ricreare la fiducia

di Corrado Sforza Fogliani (presidente Centro studi Confedilizia)

Poche, pochissime sono state le certezze degli italiani nello scorrere dei
tempi. C'è stata però una sicurezza propria dei nostri connazionali, in
qualsiasi zona, di qualsiasi età, da quando l'Italia è una nazione unita: anzi,
perfino prima. Questa persuasione, diremmo connaturata, è la fiducia nel
mattone.
Per noi italiani, la casa ha rappresentato un fine ideale, per costruirvi il
focolare domestico, ma altresì per investimento: per noi stessi, per la nostra
vecchiaia, per i nostri figli. Home e house, insieme. Tutti, ma proprio tutti,
hanno sempre considerato l'acquisto della casa in testa ai propri obiettivi di
vita, pensando di rispondere a esigenze primarie, anche di propria tranquillità
economica. Comunque andasse l'economia (chi è avanti negli anni ricorderà
facilmente quando l'inflazione, arrivata a superare il 20%, corrodeva stipendi
e azioni, pensioni e interessi sui titoli), il mattone era il bene rifugio per
eccellenza, tale ritenuto non solo dai normali cittadini, ma altresì da molti
risparmiatori e investitori.
Da pochi anni, diciamo dal governo Monti, la politica ha seguito una strada
perigliosa: ha volutamente colpito la casa, attraverso un'abnorme dilatazione
del carico fiscale. Prima di quell'esecutivo “tecnico” nessuno avrebbe mai
potuto prevedere che il peso delle imposte patrimoniali, già rilevante, sarebbe
salito da 9 a 25 miliardi di euro. Le conseguenze di un simile esproprio,
nemmeno tanto surrettizio (è stato scientemente voluto, d'intesa con macro
economisti ignari della realtà e con ristretti gruppi propugnatori d'investimenti
finanziari), potrebbero essere non già gravissime, come finora sono state, ma
perfino letali. Infatti, il susseguirsi, negli anni, di manovre incredibili, come
l'incremento del 60% sulle rendite catastali (Monti), ha prodotto un effetto
esiziale: il crollo della fiducia.
La fiducia è elemento fondamentale per l'economia (e non solo): senza di
essa, vengono meno l'impegno, la voglia, l'azione. Ovviamente, a chi guarda
il mondo con occhi di burocrate europeo o di politico astratto dalla realtà,
della fiducia nulla importa. Se proprio va bene, la considera un banale
elemento di microeconomia, trascurabile quando si elaborano alate strategie
continentali o si predispongono pomposi bilanci pluriennali. Che volete
importi la fiducia di un giovane che chiede un mutuo per acquistare casa o di
un padre di famiglia che sarebbe propenso a comprarsi un appartamento per
garantirsi una solida fonte di reddito nella vecchiaia?
Inutile, oggi, recriminare: il male è già fatto. Quanto tempo occorrerà perché i
cittadini riacquistino fiducia? I cittadini, gli italiani, si badi; non, gli agenti di
borsa o i finanziari o gli amministratori delle multinazionali. Si parla della
gente che fino a un lustro fa riteneva equivalenti casa e investimento,
mattone e sicurezza, abitazione e tranquillità. Certo, c'era, anche prima, da
lamentare assurdi fiscali, burocratici, normativi, a ogni livello (alla casa hanno
sempre attinto Stato, Regioni, Comuni, Consorzi di bonifica e Province…),
che tuttavia non avevano mai scoraggiato l'italiano medio. Oggi, non è più
così. Siamo costretti a guardare dati incerti, scrutando se per caso qualche
decimo di percentuale in più, qualche raffronto, possa dare una pallida
prospettiva di miglioramento. Confrontiamo i numeri rispetto all'anno prima o
al mese prima, per vedere se forniscano una pallida iniezione di fiducia.
Non si può essere sicuri che, dopo una simile esperienza, la gente tornerà
mai ai livelli di speranza nel mattone cui era da sempre avvezza: chi si è
scottato, teme pure l'acqua fredda. Una possibilità, tuttavia, ci sarebbe:
invertire la politica dissennata che è stata praticata nel 2011 e a seguire. In
altri termini: dare uno shock fiscale al settore. Attenzione: il ragionamento
non è svolto soltanto in termini di respiro, per consentire cioè di respirare a
chi si è visto decurtato il proprio patrimonio a causa della botta inflitta ai valori
immobiliari o a chi ha visto scemare il proprio reddito per colpa degli
incrementi tributari. Senz'altro c'è questo scopo, ma c'è altresì quello che è il
vero fine: ridare fiducia agli italiani.
Se governo e parlamento sapessero vedere anche oltre i monchi (perché
parziali e discriminatori) tagli dell'Imu e della Tasi, per alleviare l'onere dei
tributi sulla casa in genere (e per quelle affittate in particolare, assicurando
così la mobilità di universitari e forze di lavoro, specie della P. A., sul
territorio), se sapessero fare così, provocherebbero come effetto
l'indispensabile ripresa della fiducia. La gente tornerebbe a investire nella
casa, con conseguenze positive per il comparto edile, che notoriamente
trascina l'economia (checché ne asseriscano supposti e auto encomianti
soloni di Bruxelles) e i consumi. Dati non smentibili ci hanno infatti insegnato
(non a vasta parte del mondo politico, purtroppo, e a chi pontifica astratte
economie da cattedre in genere estere) che il depauperamento dei valori
immobiliari coincide con il decremento dei consumi, mentre l'innalzamento
degli uni corrisponde all'innalzamento degli altri.

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