Fisco

Le spese deducibili dell’amministratore

di Enrico Morello


Alla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, veniva richiesto (su ricorso di un amministratore di condominio risultato soccombente nei due precedenti gradi di giudizio) di pronunciarsi sul seguente quesito: «Se sussiste la violazione dell'art. 32, comma 1, n. 2, d.p.r. 29.9.1973, n. 600 per avere la CTR ritenuto applicabile la presunzione di redditività delle movimentazioni bancarie anche quando risulti individuato il percettore delle somme in base alla medesima documentazione bancaria. E quando in base alle stesse dichiarazioni del contribuente viene esclusa una qualche riconducibilità all'attività economica imprenditoriale dello stesso. Volendo affermare il principio in base al quale l'onere della prova dell'art. 32, non opera qualora dalle operazioni bancarie risulti o sia possibile individuare il beneficiario, spettando all'Amministrazione dimostrare che le dichiarazioni del contribuente non sono veritiere, non potendo esimersi da un riscontro anche a campione per dimostrare l'inattendibilità del contribuente e la fondatezza del recupero fiscale; soprattutto quando per l'entità e l'abnormità dei rilievi emersi qualunque persona dotata di buon senso e ragionevolezza avrebbe potuto accorgersi che simili importi non potevano essere ricondotti in capo ad un soggetto senza alcuna organizzazione».
Era in sostanza accaduto che ad un amministratore di immobili venissero irrogate sanzioni amministrative per redditi non dichiarati, e che lo stesso amministratore si vedesse respingere i relativi reclami presentati alla competente Commissione Tributaria in quanto, così sono motivate le sentenze, “i prelevamenti bancari sono posti come componenti di reddito se il contribuente preleva denaro e non riesce a dimostrare la destinazione e l'utilizzo di questo denaro”. Aggiungevano ancora le sentenze poi impugnate (con successo) dal contribuente che tale principio si basa sulla presunzione legale iuris tantum ex art. 32 comma 2, Dpr 29 settembre 1973 n. 600, e che nel caso specifico per vincere la presunzione l'interessato avrebbe dovuto (e così non era stato) non limitarsi ad indicare i beneficiari, ma anche spiegare e provare la causa del “rapporto fondamentale sottostante al documento bancario”, e quindi “spiegare per quale motivo fosse versato il denaro”.
La Suprema Corte, tuttavia, nel rispondere, accoglieva il ricorso rilevando anzitutto come chi svolga (come nel caso di specie) la professione di amministratore di immobile debba ritenersi un lavoratore autonomo nei confronti del quale, in quanto tale, la presunzione legale poc'anzi ricordata (e riportata nelle sentenze della Commissione Tributaria) deve ritenersi inesistente essendo stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con decisione n. 228 del 2014.
Secondo la Cassazione, in altre parole, in seguito al predetto intervento della Corte Costituzionale deve ritenersi cancellata proprio la presunzione sulla quale era fondato l'avviso di accertamento attinente al caso esaminato, e cioè quella per cui i prelievi ingiustificati dei lavoratori autonomi sono presunti generatori di reddito non dichiarato.
Vale ancora la pena di ricordare, infine, che nel cancellare la presunzione più volte richiamata per quanto riguarda i professionisti autonomi, la Corte Costituzionale aveva, con la decisione (assolutamente condivisibile) n. 228/2014 ribadito come la stessa fosse lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo “arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito.

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