Condominio

La risarcibilità del danno da reato nei rapporti condominiali

Perché il condomino querelato dall’amministratore possa avere ragione di controquerelarlo va valuto l’animus del querelante

di Giancarlo Martino

Il Tribunale di Roma, con la sentenza 5229 del 6 aprile 2022, ha affermato che la proposizione di una querela che non abbia condotto al riconoscimento della responsabilità penale dell'incolpato non genera automaticamente un obbligo di natura risarcitoria nei confronti del querelante, né integra necessariamente gli estremi del delitto di calunnia.

I fatti
Nel caso in esame, l'amministratrice di un condominio, dopo aver rinvenuto all'interno delle cassette postali del medesimo stabile un volantino con il quale veniva criticato il suo operato, presentava querela nei confronti dei condòmini a cui detto scritto appariva riferibile, lamentando il contenuto diffamatorio di talune espressioni ivi utilizzate, considerate idonee a veicolare l'idea che l'amministratrice stessa avesse tenuto gestione irregolare della contabilità condominiale.All'esito della fase investigativa, definita con provvedimento di archiviazione, uno dei condòmini querelati conveniva in giudizio l'amministratrice, al fine di vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, consistenti nelle spese legali sostenute nel corso del procedimento penale de quo e nell'accusa ingiustificatamente addebitatagli, ritenuta idonea ad integrare gli estremi del delitto di calunnia di cui all'articolo 368 Codice penale.

In particolare, l'attore sosteneva che la volontà calunniosa dell'amministratrice fosse desumibile da una serie di elementi idonei ad escludere ex ante la sua partecipazione allo scritto contestato, quali rappresentati dall'assenza di firme autografe sul volantino e di testimoni che consentissero con ragionevole sicurezza di risalire agli autori del documento, nonché dalla circostanza che il querelato stesso avesse espressamente negato di aver preso parte alla sua redazione.Per converso, la convenuta affermava di aver agito nel convincimento che detto volantino, seppur redatto meccanicamente e privo di firme autografe, fosse attribuibile ai condòmini ivi indicati, ritenendo altresì che le espressioni utilizzate all'interno dello scritto non potessero essere coperte da alcuna causa di giustificazione.

Quando la denuncia è fonte di responsabilità civile
Al riguardo, il Tribunale di Roma ha preliminarmente osservato come, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità , la denuncia o la querela possono costituire fonte di responsabilità civile solo ove contengano gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice di calunnia, sicché, al di fuori di dette ipotesi, l'attività del pubblico ministero si sovrappone all'iniziativa del querelante ed interrompe ogni nesso causale tra la denuncia calunniosa ed il danno eventualmente subito dal querelato. Segnatamente, è stato affermato che la consapevolezza relativa all'innocenza dell'incolpato debba escludersi allorché il convincimento circa l'illiceità del fatto denunciato dal querelante sia fondato su elementi obiettivi e connotati, secondo un giudizio ex ante, da un margine di serietà tale da ingenerare condivisibili dubbi da parte di una persona dotata di normale cultura e discernimento.

È quanto di recente è stato riaffermato da Cassazione 299/2022: la presentazione di una denuncia, come di un esposto, all’autorità giudiziaria o amministrativa, seppur rivelatasi infondata, non può essere fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante o dell’esponente, ai sensi dell’articolo 2043 Codice civile, se non quando possano considerarsi calunniosi; al di fuori di tale ipotesi, infatti, l’attività pubblicistica dell’organo titolare della funzione giurisdizionale o della potestà provvedimentale si sovrappone in ogni caso all’iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e così interrompendo ogni nesso tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato.

La decisione
In applicazione di ciò, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda avanzata, giacché l'assenza di sottoscrizione autografa non poteva ritenersi decisiva al fine di escludere che i firmatari del volantino fossero o meno effettivamente gli autori dello scritto contestato. Da qui l'impossibilità di ricostruire l'animus della convenuta, non essendo possibile giungere al convincimento che la stessa, nel momento in cui aveva presentato querela, fosse certa della estraneità del condomino-attore alla redazione dello scritto, ovvero consapevole del fatto che le affermazioni ivi contenute fossero riconducibili nel perimetro del diritto di critica, rilevante quale causa di giustificazione ex articolo 51 Codice penale.

Quando scatta l’obbligo di risarcimento
La pronuncia in commento offre lo spunto per una breve disamina in ordine alla configurabilità dei presupposti relativi al risarcimento del danno da reato, avente ad oggetto i pregiudizi di natura patrimoniale e non patrimoniale conseguenti alla commissione di un fatto penalmente rilevante.Al riguardo, appare preliminarmente opportuno un breve riferimento al modello generale di responsabilità civile.È noto come a norma dell'articolo 2043 Codice civile qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga chi ha commesso il fatto a risarcire il danno.

La norma, ponendo con una clausola generale il rispetto del dovere generico di non produrre danno ad alcuno (neminem laedere), delinea un modello di illecito cosiddetto atipico, per la cui operatività è sufficiente la lesione di una situazione giuridicamente rilevante e, a maggior ragione, la commissione di un fatto costituente reato.Sul piano strutturale, l'operatività del modello generale di responsabilità civile presuppone la ricorrenza di taluni elementi, operanti a vario titolo sotto il profilo oggettivo o soggettivo della fattispecie che concretamente assume rilievo nel caso concreto.In particolare, sotto il profilo oggettivo assumono rilevanza la condotta, il danno evento ed il nesso causale.

Il nesso causale tra evento e danno
In tale contesto e nell'ambito della responsabilità per danno da reato un ruolo particolarmente rilevante è assunto dal nesso causale che lega la condotta al danno evento.Invero, l'articolo 2043 Codice civile, pur facendo espressamente riferimento al nesso causale nella parte in cui utilizza l’espressione «cagiona», non detta regole di disciplina del rapporto di causalità, sicché l'elaborazione civilistica ha parzialmente mutuato le prescrizioni contenute negli articoli 40 e 41 Codice penale e la correlata impostazione sviluppatasi nel diritto penale in materia di nesso eziologico.

Le due fasi
In particolare, dal dettato degli articoli 40 e 41 Codice penale l’analisi del fenomeno causale viene effettuata distinguendo due fasi.Nella prima fase opera la cosiddetta causalità materiale, cui fa riferimento l’articolo 40 quale elemento costitutivo del fatto illecito, che rappresenta il nesso di ragionevole consequenzialità tra la condotta e l’evento lesivo verificatosi, il cui accertamento è svolto secondo la teoria condizionalistica, che presuppone un giudizio controfattuale-ipotetico, effettuato ex post e volto a stabilire se eliminando - o, negli illeciti omissivi, aggiungendo - la condotta, l’evento dannoso si sarebbe comunque verificato.

Nella seconda fase, invece, opera la causalità giuridica, afferente all’imputabilità in concreto del fatto di reato al soggetto agente, la quale postula un accertamento relativo all’inesistenza di fattori interruttivi del nesso causale ex articolo 41 Codice penale.Nel diritto civile, analogamente, la causalità materiale rappresenta un elemento costitutivo dell'illecito aquiliano ed è volta ad accertare se una determinata condotta abbia o meno determinato un evento di danno, seguendo il criterio meno rigoroso del «più probabile che non» e non già «oltre ogni ragionevole dubbio».

Per converso, l'elaborazione civilistica che appare attualmente prevalente non riconosce alla causalità giuridica il valore di un autonomo giudizio causale, ma la richiama unicamente quale parametro preposto alla determinazione del danno-conseguenza, inteso in termini di pregiudizio risarcibile ex articolo 1223 Codice civile, da valutarsi secondo la teoria della causalità adeguata, che impone di considerare risarcibili solo i danni riconducibili al fatto illecito secondo il criterio dell' id quod plerumque accidit ovvero ciò che accade più spesso.

Il danno patrimoniale e non
In ogni caso, le conseguenze derivanti dal fatto illecito possono avere natura patrimoniale o non patrimoniale e in quest'ultimo caso l'articolo 2059 Codice civile prevede espressamente che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.A tal proposito, l'articolo 185 comma 2 Codice penale dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui, così attribuendo valore legale all'istituto giuridico del risarcimento dei danni derivanti da reato, consistente nell'obbligo di versare una somma di denaro equivalente al pregiudizio arrecato mediante la commissione di un fatto penalmente rilevante.

Legittimata ad esperire l’azione di risarcimento del danno da reato è, di regola, la vittima della condotta criminosa, alla quale si riconosce alternativamente la facoltà di richiedere il ristoro dai pregiudizi subiti direttamente in sede penale, avvalendosi dell'istituto della costituzione di parte civile di cui all'articolo 78 e seguenti Codice di procedura penale , ovvero nel corso di un autonomo giudizio civile, all'uopo instaurato. Con la precisazione che nei casi in cui la persona offesa avanzi una siffatta pretesa risarcitoria in sede penale, il suo diritto al risarcimento dei danni da reato seguirà, normalmente, l'esito del procedimento penale pendente, con le conseguenze di disciplina che ne derivano in punto di accertamento del nesso causale ed imputabilità della fattispecie incriminatrice all'autore della condotta criminosa.

Per converso, laddove l'azione di risarcimento del danno venga autonomamente promossa dalla vittima di un reato in sede civile, il giudice sarà chiamato a valutare l'illiceità della condotta assunta da altri, unitamente ai pregiudizi ad essa conseguenti, in applicazione dei richiamati criteri elaborati dalla scienza civilistica in materia di nesso causale, dovendo riferirsi, quanto al profilo attinente alla causalità materiale, al criterio meno stringente del «più probabile che non», e, sotto il profilo della causalità giuridica, allacitata teorica della causalità adeguata; senza tralasciare la valutazione circa la sussistenza dei presupposti caratterizzanti l'illiceità della condotta posta in essere e la sua antigiuridicità, atteso il contenuto pregnante e caratterizzante che detti elementi assumono ai fini dell'operatività del modello generale di responsabilità civile delineato dagli articoli 2043 e seguenti Codice civile.

I casi non infrequenti di controquerela
È tuttavia possibile, come accaduto nella fattispecie in esame, che il condomino-querelato, a seguito dell'archiviazione del procedimento penale iscritto a suo carico, ricorra alla cosiddetta controquerela, denunciando ex articolo 368 Codice penale l'originario querelante, per avergli ingiustamente addebitato un fatto costituente reato, esperendo altresì in sede civile un'azione autonoma volta ad ottenere il rimborso delle spese legali sostenute nel predetto procedimento, nonché il risarcimento dei danni non patrimoniali asseritamente patiti.

In tal caso, come emerge dal testo della sentenza in commento, l'indagine giudiziale non può prescindere da una valutazione che, ancorché incidentale, non esime l'interprete dal valutare i presupposti fondanti la responsabilità dell'originario querelante, sicché il Tribunale di Roma ha ribadito che la querela può costituire fonte di responsabilità civile solo ove contenga gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice di calunnia, giacché, al di fuori di dette ipotesi, l'attività del pubblico ministero si sovrappone all'iniziativa del querelante ed interrompe ogni nesso causale tra la denuncia calunniosa ed il danno eventualmente subito dal querelato.

Ed invero, il delitto di calunnia costituisce un reato plurioffensivo, volto a tutelare sia l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia sia il diritto dell'accusato a non essere inutilmente coinvolto in un procedimento penale.Nondimeno, è stato osservato come un siffatto giudizio di responsabilità presupponga una valutazione preliminare circa la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 368 Codice penale e, in particolare, della sussistenza del dolo dell'originario querelante.

Difatti, affinché si configuri il delitto di calunnia occorre che la condotta del soggetto attivo del reato sia sorretta dal dolo, ossia dalla convinzione che questi ha dell'innocenza del calunniato e che, pertanto, occorre fornire la piena dimostrazione circa la consapevolezza del calunniatore in ordine alla totale estraneità del soggetto passivo ai fatti che gli sono ascritti, per cui in presenza di un errore o di un mero dubbio in ordine ad un siffatto elemento il reato non ritenersi perfezionato .

Conclusioni
In applicazione di detti principi, il Tribunale di Roma ha rigettato la pretesa risarcitoria avanzata dal condomino-attore, ritenendo le dichiarazioni contenute nella querela originariamente sporta dall'amministratrice-convenuta prive dell'intenzione di calunniare, attesa l'impossibilità di ricostruire una siffatta volontà in capo alla convenuta e non essendo possibile giungere al convincimento che ella, al momento della querela, fosse certa della estraneità del condomino-attore alla redazione dello scritto contestato, ovvero consapevole del fatto che le affermazioni ivi contenute fossero riconducibili nel perimetro del diritto di critica, rilevante quale causa di giustificazione ex articolo 51 Codice penale.

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