Condominio

Impalcature in condominio: se non è evidente il danno patrimoniale, nessun diritto all’ indennizzo

In genere il ponteggio crea disagi non danni a cui porre un rimedio economicamente apprezzabile

di Ivana Consolo

I lavori di ristrutturazione in condominio, sono sempre un'occasione per l'innesco di ulteriori situazioni problematiche. È di tutta evidenza che, la presenza di operai, l'installazione di un ponteggio, la produzione di materiale in grado di nuocere in vario modo, sono tutte circostanze che i condòmini potrebbero vivere con disagio. Ma può il condòmino chiedere di essere indennizzato per i danni patiti in occasione di lavori al fabbricato? Dipende dalla tipologia, dalla serietà, e dalla prova del danno che si lamenta.
Il Tribunale di Taranto, con la sentenza civile numero 3075 del 29 dicembre 2021 , ci spiega cosa si intende per danno indennizzabile.

La vicenda
In un condominio, si rendevano necessari lavori di straordinaria manutenzione alla facciata comune del fabbricato ed ai balconi di proprietà dei condòmini. Per la realizzazione degli interventi, non si era potuto evitare l'allestimento di un'impalcatura alquanto ingombrante, per un periodo di tempo compreso tra il mese di aprile e quello di febbraio dell'anno successivo.

La società proprietaria di alcuni locali adibiti ad ufficio siti nello stabile condominiale, si rivolgeva ai giudici per sottoporre al loro vaglio le seguenti lamentele: la presenza del ponteggio, che di fatto aveva comportato una menomazione del godimento dell'area di proprietà esclusiva, aveva altresì prodotto ulteriori svariati danni e disagi, quali la considerevole produzione di pulviscolo e di materiale di risulta prodotti dagli interventi edilizi (che fatalmente avevano invaso gli uffici); l'impossibilità di aprire porte e finestre per arieggiare i locali a causa della presenza di pulviscolo e dei forti rumori di cantiere; la riduzione di luminosità degli uffici.

In ragione di tutto ciò, veniva chiesta al condominio la corresponsione di un indennizzo, da quantificare in relazione alla tariffa stabilita per l'occupazione del suolo pubblico prevista dal Comune per le attività edilizie. Si costituiva in giudizio il condominio che, in via preliminare, osservava come la società proprietaria degli uffici fosse perfettamente consapevole di cosa avrebbe comportato l'esecuzione dei lavori, dato che aveva prestato piena acquiescenza alle delibere con cui si erano approvati gli interventi. Pertanto, si eccepiva la mancanza di correttezza e buona fede in capo alla condòmina, nonché il non avere offerto prove sufficienti dei disagi patiti, tali da fondare la richiesta dell'indennizzo. In ogni caso, il condominio si riteneva non legittimato passivo, e chiamava in causa (in garanzia) la ditta esecutrice dei lavori ed il direttore dei lavori.

Va provata la lesione patrimoniale
Della vicenda, viene investito il Tribunale di Taranto che, esaminati gli atti di causa e le rispettive posizioni processuali, pone mente a quale possa essere la disciplina applicabile al caso di specie. La riflessione dei giudici, si sofferma sull'operatività dell'articolo 843 del Codice civile.Ebbene, in base a tale norma, per perseguire l'intento di contemperare gli interessi del proprietario e di chi deve eseguire opere di riparazione della cosa propria o comune, si stabilisce che il proprietario deve permettere l’accesso ed il passaggio nel suo fondo (purché ne venga riconosciuta la necessità) per costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune (primo comma). Se l’accesso cagiona un danno, è dovuta un’adeguata indennità (secondo comma).

L'articolo citato, contempla un’ipotesi di responsabilità da atto lecito, fondata sulla circostanza che il transito e l’accesso abbiano determinato un concreto pregiudizio al fondo interessato. La liquidazione dell'indennità prevista dal secondo comma, presuppone sempre la prova dell'evento astrattamente lesivo del diritto di proprietà, nonché della concreta e conseguente lesione patrimoniale subita dal proprietario. Venendo al caso di specie, affinché si possa legittimamente riconoscere alla condòmina il diritto all'indennità per la limitazione del proprio diritto di proprietà esclusiva, occorre che vi sia la prova tangibile di una lesione alla propria consistenza patrimoniale. Stesso discorso va fatto anche in relazione all'affermata diminuzione di luminosità, oltre che di arieggiamento dei locali adibiti ad ufficio.

Non sufficiente la scomodità nella fruizione
Ragionando in tutta obiettività, quale lesione alla consistenza patrimoniale della società può mai avere cagionato la presenza di un'impalcatura, o la temporanea limitazione di luminosità ed aria negli ambienti di lavoro?Il pregiudizio subito nel caso di specie, è più che altro dato da una più incomoda fruizione degli ambienti lavorativi ove si svolge l'attività di impresa, ed è un incomodo che riguarda le persone fisiche che lavorano nei locali.Ecco perché la domanda di riconoscimento di un indennizzo da porre a carico del condominio si ritiene non meritevole di alcun accoglimento; non solo non è astrattamente ipotizzabile il danno patrimoniale, quanto non è stato affatto dimostrato in corso di causa.

Nessuna responsabilità per i chiamati in garanzia
I giudici precisano inoltre che, la domanda di indennizzo avanzata nei confronti del condominio, non va ad estendersi in modo automatico nei confronti della ditta e del direttore dei lavori chiamati in causa dal convenuto principale. Difatti, esiste una differenza sostanziale tra chiamata in causa del terzo e chiamata in garanzia. Nell’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, in quanto si deve individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario.

L’ipotesi della chiamata del terzo in garanzia, realizza invece l’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo. Pertanto, caduta la pretesa nei confronti del convenuto principale, non vi è ragione che esista una qualche pretesa nei confronti dei terzi chiamati in garanzia.Alla luce di quanto sopra, non esiste nessun soggetto tenuto ad indennizzare la condòmina per i fastidi lamentati, che appaiono meri disagi e non danni a cui porre un rimedio economicamente apprezzabile.

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