Condominio

No alla casa di riposo per anziani se il regolamento vieta i commerci: una bussola per sapersi orientare

La tutela giudiziale per i vincoli da destinazione alle unità immobiliari stabilite da un regolamento prescinde dall’esistenza di un concreto pregiudizio

di Rosario Dolce

La Cassazione con la sentenza 38639 del 6 dicembre 2021 valuta il contenuto di una clausola contenuta nel regolamento di un condominio, del seguente tenore «divieto per i condòmini di esercitare all’interno delle proprie unità abitative, senza apposita autorizzazione assembleare, industrie, professioni, laboratori, commerci, arti e mestieri» in relazione all'esercizio di una casa di riposo per anziani.

La bussola
L'importanza del provvedimento si apprezza per l'iter argomentativo svolto onde legittimare un criterio di valutazione sulla portata di simile clausole regolamentari. Per tale ragione, appare necessario riportare i diversi assunti di cui si compone la fitta trama della motivazione resa. L'attenta lettura di essi sarà sicuramente utile alla costruzione di un criterio, o meglio di una vera e propria bussola per individuare una rotta e governarsi nel mare di incertezza che ancor oggi regna su un argomento così delicato.

La servitù reciproca
È noto che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condòmini.

Il consenso negoziale
I divieti alle facoltà inerenti al godimento delle proprietà esclusive impongono, dunque, il consenso negoziale del proprietario della unità immobiliare che si vuole gravata dalla dedotta servitù, giacché essi limitano i diritti reali attribuiti dai titoli di acquisto. Il contenuto di tale diritto di servitù si concretizza nel corrispondente dovere di ciascun condomino di astenersi dalle attività vietate, quale che sia, in concreto, l’entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti - con carattere di realità - ai reciproci fondi dominanti, e perciò indipendentemente dalla misura dell’interesse del titolare del condominio o degli altri condomini a far cessare impedimenti e turbative.

Assenza di pregiudizio (effettivo)
La tutela giudiziale per i vincoli da destinazione alle unità immobiliari stabilite da un regolamento prescinde (come, in genere, di ogni diritto reale) dall’esistenza di un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi in capo al condominio, attesa l’assolutezza propria di tali situazioni giuridiche soggettive.Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha sempre riferito l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio nella formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio. Siffatta esigenza può essere operata sia mediante elencazione delle attività vietate, che attraverso il generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, ad esempio, l’uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato).

L'interpretazione
È poi da ribadire come l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, enunciati in modo chiaro ed esplicito (nella fattispecie «industrie, professioni, laboratori, commerci, arti e mestieri»), è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di fatto storico ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, Codice procedura civile (Cassazione, 14460/2011; Cassazione, 17893/2009; Cassazione, 1406/2007; Cassazione, 9355/2000; Cassazione, 5393/1999; più di recente, Cassazione, 11609/2018; Cassazione, 16384/2018).

La casa per anziani ed i “commerci”
Sulla base dei principi sopra riportati è stata rigettata l'impugnazione svolta dai condòmini che lamentavano l'invalidità della delibera con cui si disponeva il divieto di destinare il proprio immobile a «casa di riposo per anziani», ovvero è stata ritenuta legittima l'interpretazione resa alla clausola anzidetta da parte della Corte di appello di Catania (quale giudice di merito), laddove è stato ritenuto che la portata del termine “commercio” sia tale da potersi estendere come vincolo anche al caso in specie.

Ed invero: «In particolare, l’interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare gli appartamenti, senza autorizzazione dell’assemblea all’esercizio, tra l’altro, di “commerci”, secondo cui collide con esso lo svolgimento in un’unità immobiliare dell’attività di casa di riposo per anziani (residenza assistenziale collettiva di carattere stabile), non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l’intenzione comune dei condòmini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l’interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a criticare il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice ed a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l’unica interpretazione possibile, né la migliore in astratto».

Il dato che «le case di riposo per anziani debbano comunque possedere i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione non contrasta con la diversa considerazione che le medesime case di riposo si connotano come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socioassistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero» (per analogo precedente Cassazione, 11609/2018).

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