Condominio

Il sottotetto modificato se non è di pertinenza, ed è parte comune, può produrre danni da custodia

Il vano è di proprietà esclusiva quando assolve alla funzione di isolare e proteggere un solo appartamento dal caldo, dal freddo e dall’umidità

di Rosario Dolce

La natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune solo se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune; viceversa, il sottotetto può considerarsi di pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonoma. Ciò è quanto ha ribadito la corte di Cassazione con sentenza 37819 del primo dicembre 2021.

Il caso
Un condominio minimo faceva da teatro ad una lite tra vicini. In particolare, il proprietario di uno degli immobili conveniva il condòmino sovrastante chiedendone la condanna alla remissione in pristino di un sottotetto di asserita proprietà condominiale, trasformato in locale abitabile con apertura di finestre e appropriazione di bene comune.I convenuti, nel costituirsi in giudizio, rivendicavano la proprietà esclusiva del sottotetto che doveva considerarsi come pertinenza del loro appartamento, non essendo lo stesso suscettibile di uso autonomo da parte dei condòmini e non essendo elencato tra i beni per i quali opera la presunzione di condominialità, a norma dell'articolo 1117 Codice civile.

Le pronunce di merito ed il ricorso alla Suprema corte
In primo grado, quest'ultima tesi faceva breccia nell'apprezzamento del decidente, mentre in secondo grado la posizione veniva ribaltata e il giudice d'appello ha valorizzato più la funzionalità del sottotetto che la relativa accessorietà, concludendo verso la qualificazione del bene come parte comune.La Cassazione, interrogata sulla questione, ha definito il caso con un provvedimento spartiacque e qui dettando i principi che vi facevano da corollario.

I principi richiamati
1) Litisconsorzio. In primis, gli aspetti del contraddittorio per una simile lite giudiziaria. E, sotto tale profilo, è stato precisato che qualora un condomino agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condòmini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un’apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione - con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato - la comproprietà degli altri soggetti (Cassazione , sezioni Unite, sentenza 25454 del 2013).
2) Risarcimento danno. Accertata la natura condominiale della parte comune del sottotetto, o meglio valutata la perfetta legittimità della decisione assunta dal giudice di seconde cure, si è valutata la portata del risarcimento del danno prospettato dal condòmino ricorrente in giudizio contro il proprio vicino.La Corte d’appello, infatti, aveva ritenuto che la trasformazione edilizia del sottotetto eseguita dai convenuti, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, avesse causato dei danni a carico delle parti condominiali e della proprietà esclusiva dell’attore. Tali anni sarebbero consistiti nella modifica della copertura dei prospetti, nella modifica del vano scale, nell’appropriazione di una porzione di ballatoio condominiale, nell’apertura di nuove vedute sulla proprietà dell’attore a distanza inferiore a quella legale dal confine, nella installazione di due nuovi scarichi di acqua piovana con effetto antiestetico sulle facciate del caseggiato.

La quantificazione dei danni
Il giudice del gravame riteneva così di aderire alla valutazione del proprio consulente tecnico d’ufficio che aveva calcolato un abbattimento del valore commerciale del bene dell’attore pari al 60%, da ridurre al 50%, in considerazione del fatto che non poteva comprendersi il pregiudizio statico.In questi termini, senza alcuna motivazione oggettiva in grado di supportare l'addotto criterio utilizzato per la quantificazione del danno, la Cassazione ha deciso di cassarlo con rinvio, enunciando il seguente principio: «La quantificazione dei suddetti danni è stata effettuata dalla Corte d’appello senza esplicitare il criterio seguito, se non mediante un generico richiamo alla relazione peritale».

« La motivazione del giudice del gravame, infatti, si esaurisce in un mero richiamo alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio senza neanche riportarne il contenuto. Ne consegue che il criterio di calcolo dei danni pari al 50 % del valore commerciale dell’appartamento, risulta del tutto sfornito di motivazione, tanto più che i danni causati dai lavori di ampliamento del sottotetto sono prevalentemente di natura estetica: la modifica della copertura e dei prospetti, la modifica del vano scale, l’appropriazione di una porzione di ballatoio condominiale, l’apertura di nuove vedute sulla proprietà dell’attore a distanza inferiore a quella legale dal confine, e l’installazione di due nuovi scarichi di acqua piovana con effetto antiestetico sulle facciate del caseggiato».

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