Condominio

Unità di intenti tra gli amministratori di condominio: #adessobasta, ma che sia per davvero

All’appello di Anaci si unisca quello di tutte le altre associazioni per un unico obiettivo di emancipazione della professione

di Daniela Zeba

La storia è fatta di corsi e ricorsi. Situazioni apparentemente immutabili iniziano a modificarsi in maniera impercettibile come per l'effetto farfalla. I cambiamenti non avvengono per caso, ma quando è il momento diventano ineluttabili, anche se ci sono resistenze, reticenze e interessi contrari, magari scatenati dallo stato di emergenza in conseguenza di una pandemia. Effetto farfalladicevamo: giusto un anno fa, 233 amministratori di condominio di tutta Italia si incontrarono in videoconferenza e si confrontarono per alzata di mano, nessuno sul palco e nessuno in platea, tutti uguali e tutti con gli stessi problemi, indipendentemente da sigle e cariche di appartenenza. Fu un'iniziativa spontanea, in reazione ad uno dei tanti ed innumerevoli soprusi che la categoria degli amministratori è da sempre abituata a subire. In quell'occasione di diffuse l'hashtag #adessobasta.

A che punto ci troviamo adesso
Fu un momento esaltante, di grande emozione e condivisione, in quel momento si ebbe la convinzione di essere ad un bivio per un vero cambiamento. Furono giorni e settimane concitati, si costituì un gruppo facebook che in meno di 48 ore raccolse più di 800 iscritti che oggi sono diventati oltre 1700. Purtroppo da allora, degli obiettivi enunciati si è raggiunto solo quello dell'assemblea in videoconferenza (peraltro regolamentato malissimo) con una fatica inimmaginabile, perché quello che ad ogni professione è normale che sia dovuto: riconoscimento economico delle mansioni, tutela e dignità, strumenti adeguati, l'amministratore di condominio se lo deve guadagnare, al prezzo di lacrime e sangue.

E pensare che invece di dare il proprio contributo al cambiamento, o almeno apprezzare e sostenere lo sforzo di chi si spese senza chiedere nulla in cambio, certi amministratori, si limitarono superficialmente a criticare ed abbiano addirittura deriso gli sforzi compiuti dai moderatori del gruppo, come se 7 persone avessero potuto cambiare, da sole, senza fondi e mezzi, un sistema immobile da 80 anni.Ma evidentemente ignoravano l'effetto farfalla. Questa professione meriterebbe uno studio sociologico approfondito: forse sarebbe un ottimo argomento per una tesi di laurea in sociologia.

Considerazioni sull’amministratore di condominio
Perché? Perché l'amministratore più che una professione, è un’occupazione, che può essere esclusiva e continuativa, ma molto più spesso è alternativa e occasionale, senza un percorso di studi dedicato. Il legislatore mettendo mano alla riforma del condominio nel 2012, di fatto, con la legge 220 e la previsione dell'amministratore interno, ha sancito inequivocabilmente lo svilimento di una professione, che non può essere tale, se per legge la può esercitare indiscriminatamente chiunque. Non solo. La stranezza è che il «dilettante allo sbaraglio» non ha nessun obbligo, mentre il professionista serio è massacrato dai doveri: entrambi però sono stati posti sullo stesso piano e il primo può rivolgersi all'altro come “collega”.

Il dramma è che i clienti finali, i condòmini, nella stragrande maggioranza dei casi, ignorano la differenza. Senza avere avuto l'intelligenza e l'accortezza di stabilire livelli diversi di trattamento, tra chi svolge questa difficile ed importante attività in maniera organizzata e professionale, da chi lo fa improvvisando, lo stato ha ferito al cuore la dignità dei veri professionisti. La riforma del condominio ha rappresentato la morte della professionalità dell'amministratore e la cosa bizzarra è che, a suo tempo, fu a gran voce acclamata, non so se per miopia, ingenuità o ipocrisia, come una grande conquista.

Dopo pochi anni, anche i più accaniti sostenitori della legge 220/12 hanno dovuto convenire l'assoluto fallimento di una riforma che, per quel poco di nuovo che ha portato
(per il resto si è limitata a recepire il risultato di 70 anni di giurisprudenza) ha contribuito ad accrescere il contenzioso, a squalificare il settore, a rendere sempre più gravoso il lavoro dell'amministratore, che, per come quotidianamente si declina, dovrebbe, di default, essere considerato tra i mestieri più usuranti in assoluto.

La necessità della denuncia del problema di fondo
Ma la colpa non è solo della mancata riforma. Il problema del mancato riconoscimento professionale va analizzato con una visione olistica, cosa che nessuno ha mai fatto, per ignoranza, convenienza, superficialità e perché no, anche stupidità.Si è sempre affrontata la questione con una miopia disarmante e chi, come me e pochi altri, ha tentato di esaminare il problema con occhi diversi, è stato tacciato di eresia, scontrandosi con interessi contrastanti, ma anche più semplicemente con la rassegnazione, l'inconsapevolezza e la presunzione di chi evidentemente è a suo agio nella melma, o teme il cambiamento o è troppo pigro per agire.

La denuncia dello status quo è stata considerata un' inutile e sterile lamentela, senza tenere conto che se non si denuncia un problema, non se ne può avere consapevolezza e di conseguenza non si può passare all'azione.Invece di maturare una coscienza collettiva consapevole per iniziare a scardinare un sistema, si è preferito irridere chi ha avuto il coraggio di puntare il dito nella piaga, metterci la faccia anche con proposte concrete. Chi ha osato dubitare del sistema è stato isolato. Ecco allora che la colpa dell'invisibilità dell'amministratore di fronte alle istituzioni va ricercata partendo dalla base, perché se non è la base a reclamare a gran voce i propri diritti, chi lo deve fare?

Le responsabilità
Gli amministratori sono i primi colpevoli della loro invisibilità, per mancanza di coesione dovuta a:
1. estrazione e formazione eterogenea;
2. convivenza di professionisti e dilettanti;
3. sindrome dell'”orticello” che li vede focalizzati solo sulla propria realtà;
4. individualismo endemico e congenito;
5. menefreghismo.

Nella scala della colpevolezza dell'invisibilità, si piazzano al secondo posto alcune Associazioni di categoria: in mancanza di un'efficace rappresentanza sindacale degli amministratori di condominio di fronte agli organi istituzionali hanno inconsapevolmente reso i loro associati agnelli sacrificali. L'erogazione di formazione obbligatoria ai fini dell'esercizio della professione, praticamente l'unico ruolo che alcuni raggruppamenti si sono ritagliato, rimane spesso l'unica attrattiva per gli associati.

Il terzo gradino del podio dei colpevoli dell'invisibilità spetta a certi “guru” della formazione o “coach”, per usare un termine tanto di moda. Sono quelli che erogano corsi di formazione di qualità e che prendono sonoramente a schiaffi (a suon di euro) gli amministratori, inculcando la convinzione che l'unico male per la loro triste condizione siano proprio loro stessi e che solo l'autocritica, la disciplina, la comunicazione, la perfetta organizzazione manageriale dello studio e gli strumenti ipertecnologici potranno traghettare l'amministratore nell'olimpo dei professionisti soddisfatti, sorridenti, ricchi e vincenti. Sono quelli della fatidica frase: «dietro ogni problema c'è un opportunità» anche di fronte alle situazioni più inique. Sono quelli che esortano a non «perdere tempo e ed energia» nelle cose che non si possono controllare.
Mi permetto di dissentire, non perché non condivida il fatto che sia l'amministratore la causa principale del suo male. Non dissento neppure sui contenuti dei loro corsi, a cui ho partecipato più volte e con soddisfazione sul piano operativo e relazionale. Ma i veri coach non si dovrebbero limitare a questo: i veri coach dovrebbero alimentare anche l'orgoglio e la consapevolezza del nostro ruolo, i veri coach dovrebbero essere al nostro fianco ed essere i nostri primi supporter nelle nostre battaglie verso l'emancipazione: non è tempo perso combattere per la propria dignità e per il proprio valore professionale. Al contrario: è vitale.

Le conseguenze di questa situazione
A causa di tutti questi colpevoli, è naturale che l'invisibilità o addirittura l'aura negativa dell'amministratore si rifletta nella società, nell'opinione pubblica, e nei clienti, per i quali egli rimane per lo più un passacarte o un male necessario, complice la diffidenza alimentata dalle associazioni della proprietà che hanno sempre visto l'amministratore come il nemico dei condòmini. A questo stato di cose gli amministratori professionisti hanno sopperito con strategie diverse: selezionando il proprio target o subendo gli effetti distorti di un mercato malato e di una concorrenza sleale. Nessuno però, nemmeno chi vuole passare per il fenomeno di turno, è stato immune da peripezie più o meno spiacevoli, né lo è dalle angherie di uno Stato che tiene in continuo scacco la categoria.

L'ultimo sopruso, che ha scatenato l'indignazione della più blasonata associazione di amministratori è stato il famigerato decreto legge 157/21, il cosiddetto decreto “antifrode”. Effetto farfalla. Dopo un anno anche Anaci ha gridato #adessobasta.E' giunta l'ora che l'effetto farfalla contagi tutte le altre associazioni e si traduca in un dirompente cambiamento, a partire da subito, con l'apporto e la forza di tutti gli amministratori, per un unico obiettivo di emancipazione, in un'ottica finalmente olistica dell'evoluzione della professione.

Gli amministratori sono pronti a scendere in piazza se non saranno presi dal governo adeguati provvedimenti immediati, primo fra tutti la detraibilità del loro compenso nei bonus fiscali, oltre agli altri già segnalati, da mettere in agenda già dal prossimo anno. A tal scopo tutte le Associazioni, devono supportare con forza e convinzione le richieste, se è vero che hanno a cuore il futuro degli amministratori.
Se non ora, quando?

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