Condominio

Rigurgito fogna condominiale in un negozio: perché sono state respinte le istanze istruttorie e di merito

Non ammesse le prove testimoniali e la Ctu non ritenute necessarie

di Rosario Dolce

Contro il condominio è apparentemente semplice agire lamentando la responsabilità da cose in custodia, a norma dell'articolo 2051 Codice civile, ovvero alla responsabilità extracontrattuale di cui all'articolo 2043 Codice civile. In realtà non lo è affatto, se le istanze istruttorie non sono ben articolate. Ne sa qualcosa il proprietario di un magazzino, che in esso vi aveva avviato un'attività commerciale, il quale ha citato il condominio per chiedere il risarcimento del danno da lucro cessante, a causa di un rigurgito fognario.

La relativa domanda risarcitoria non è stata accolta, perché sono state respinte tutte le istanze istruttorie e di merito (compresa quella sulla liquidazione mediante il ricorso al parametro dell'equità). Vediamo perché, esaminando il contenuto della ordinanza 31251 del 4 novembre 2011 della Cassazione.

La prova testimoniale
La Corte di merito aveva affermato l’inammissibilità delle prove per interrogatorio e testimoniali perché chieste in citazione «sui fatti articolati in premessa» dell’atto introduttivo, e poi reiterate nelle memorie ex articolo 183, comma 6, Codice procedura civile, in quanto non facevano riferimento al volume di affari o alla redditività dell’esercizio commerciale.I giudici di legittimità, in punto, ricordano che risultano inammissibili le richieste di prove orali sul contenuto espositivo dei fatti costituenti le ragioni della domanda (articolo 163, comma 3, numero 4, Codice procedura civile), ove lo stesso non consenta, per la genericità ed indeterminatezza del testo, di individuare capitoli di prova che rispondano ai requisiti prescritti dalle norme processuali citate, neppure potendosi richiedere al giudice di estrapolare egli stesso detti capitoli di prova del più ampio testo dell’atto difensivo introduttivo (Cassazione , 12292/2011).

Ordine di esibizione
Nella fattispecie, la richiesta di “esibizione” della perizia redatta dal tecnico dell'assicurazione del fabbricato non ha ricevuto accoglimento dal giudice perché ritenuta non contestualizzata e, quindi, irrilevante. In punto, il giudice di legittimità ricorda che l’ordine di esibizione è subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli articoli 118 e 210 Codice procedura civile e 94 disposizioni di attuazione al Codice procedura civile.

L'ordine di esibizione è un cosiddetto «strumento istruttorio residuale», cioè utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e non sia perciò volto a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico della parte istante. Esso è, dunque, espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione per violazione di norma di diritto (Cassazione 22196/2010; Cassazione 24188/2013; Cassazione 10043/2004).

La Consulenza tecnica d'ufficio
Neppure la cosiddetta Ctu può supplire alla carenza probatoria in questione.La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti.Nella specie, la Corte di merito aveva spiegato- e ciò è stato ritenuto legittimo dai giudici di legittimità - come, in difetto di prove offerte sui danni patrimoniali subiti, non poteva sopperirsi a tali lacune istruttorie disponendo una Ctu. La decisione è conforme all’orientamento secondo cui, in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali funzione “percipiente”, sempre che essa verta, però, su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cassazione 1190/2015).

Niente indennizzo per equità
Infine, anche l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 Codice civile, non esime la parte interessata dall’onere di dimostrare non solo se sia dovuto il risarcimento - ove sia stato contestato - ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre (Cassazione 20889/2016).Alla liquidazione del danno il giudice può, infatti, procedere anche in via equitativa, in forza del potere conferitogli dagli articoli 1226 e 2056 Codice civile, restando, peraltro, la cosiddetta equità giudiziale correttiva ed integrativa subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare e, a un tempo, non comprendendo tale potere giudiziale anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta presupponendo la liquidazione equitativa già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno subito.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©