Condominio

Delibere assembleari di ripartizione spese: la Cassazione torna sui casi di nullità e annullabilità

La nullità è deducibile in ogni tempo, ricordano i giudici di legittimità, la annullabilità va fatta valere nel termine di 30 giorni

di Ivana Consolo

Ogni condòmino è perfettamente consapevole di avere il diritto di impugnare le delibere adottate dall'assemblea; allo stesso tempo, dovrebbe sapere che esiste un termine entro cui potere agire, e che una delibera può essere giudizialmente dichiarata nulla (priva di effetti fin dall'inizio, come se non fosse mai esistita), oppure annullabile (priva di effetti dal momento in cui viene riconosciuto il vizio che la affligge). Ma i condòmini, soprattutto ove si tratti di delibere che approvano i bilanci di gestione, hanno idea di come si faccia a capire se si è in presenza di una delibera nulla o di una delibera annullabile? La spiegazione, dettagliata e puntuale, ci giunge da Piazza Cavour, attraverso la sentenza civile numero 28854 del 19 ottobre 2021.

La vicenda
Il caso che fa da sfondo alla pronunzia in esame è abbastanza composito; vediamo di sintetizzarlo in modo chiaro. Il Tribunale di Milano ingiungeva ad una società, proprietaria di alcune unità immobiliari facenti parte di uno stabile, il pagamento di una somma pari ad oltre 20.000,00 euro quale saldo delle spese condominiali relative a diversi periodi di gestione, i cui bilanci erano stati approvati con 2 distinte delibere. La società spiegava opposizione al decreto ingiuntivo, deducendo l’insussistenza del credito azionato dal condominio, e chiedendo in via riconvenzionale che fosse accertata e dichiarata la nullità delle delibere relativamente all’approvazione dei riparti delle spese.

Il motivo addotto a sostegno della richiesta di declaratoria di nullità, stava essenzialmente nella circostanza che l'assemblea avesse preteso di modificare illegittimamente i criteri convenzionali di riparto delle spese condominiali, procedendo in base a tabelle millesimali mai approvate, e diverse da quelle allegate al regolamento condominiale, per la cui modifica occorreva il consenso unanime dei condòmini. Il condominio eccepiva la decadenza della società dal diritto di impugnare le delibere contestate, sostenendo che non si versava nell'ipotesi di nullità ma di annullabilità. Il Tribunale, espletata una consulenza tecnica d’ufficio, rigettava la domanda proposta dalla società opponente, confermando il decreto ingiuntivo opposto. La società ricorreva dunque in appello, ed in tale sede, il condominio deduceva anche il sopraggiunto difetto d’interesse dell'ingiunta, perché non più condòmina dell’edificio.

La pronuncia di secondo grado contestata
La Corte d’appello, dichiarava la nullità delle delibere assunte dall’assemblea, revocando quindi il decreto ingiuntivo opposto. La decisione dei giudici d'appello si basava, anzitutto, sull'avvenuta verifica dei seguenti elementi:
-le nuove tabelle millesimali, diverse da quelle allegate al regolamento condominiale, come risultava chiaramente dal tenore delle delibere, non erano state approvate dall’assemblea;
-l’assemblea condominiale aveva provveduto ad approvare i bilanci applicando le nuove tabelle;
-il regolamento condominiale, dotato di natura contrattuale, definiva sue parti integranti le tabelle millesimali; prevedeva che le spese e gli oneri fossero suddivisi tra tutti i condòmini pro quota, e secondo le carature indicate nelle tabelle millesimali allegate; aggiungeva che, le delibere concernenti le modifiche al regolamento stesso, ed alle tabelle millesimali allegate, dovessero essere adottate con atto scritto e con l’unanimità del consenso di tutti i condòmini.

Ma vi è un altro autonomo profilo, assorbente e dirimente, sulla scorta del quale la Corte territoriale decideva la vicenda in esame: trattasi di un'eccezione di giudicato avanzata dall’appellante. In buona sostanza, in ordine alla medesima questione, era intervenuta una sentenza recante la certificazione di passaggio in giudicato, che riguardava un periodo di gestione successivo rispetto a quello per cui è causa. Si trattava di bilanci approvati con delibera che veniva dichiarata nulla, in quanto applicava tabelle diverse da quelle richiamate nel regolamento condominiale, e non precedentemente approvate dall’assemblea.

La pronuncia è stata resa nei confronti di una società subentrata in tutti i rapporti patrimoniali che facevano capo alla società appellata. Ebbene, secondo la Corte d'appello, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e la domanda del primo. Il condominio, non accettando la decisione della Corte milanese, ricorre quindi in Cassazione.

Nullità ed annullabilità delle delibere
Investita della composita vicenda, la Cassazione elabora un ragionamento giuridico inevitabilmente articolato, ma decisamente esaustivo. Anche qui, procediamo con un'analisi il più possibile lineare.Preliminarmente, nella sentenza in esame viene richiamata la recente pronunzia a Sezioni unite numero 9839 del 2021, in cui gli ermellini hanno affermato che: «nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione ove quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione, ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile, comma 2°».

Tanto premesso, la Corte procede poi con una disamina sulla differenza tra nullità ed annullabilità della delibera, e ci spiega che: «in tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico - dando luogo, in questo secondo caso, ad un «difetto assoluto di attribuzioni»- e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a «norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume»; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale, sono semplicemente annullabili, e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’articolo 1137 del Codice civile».

Dopo averci chiarito quando ed in quali ipotesi si versi nell'una o nell'altra tipologia di vizio, la Corte scende nel caso concreto, ed illustra in quali casi specifici siano ravvisabili la nullità o l'annullabilità delle delibere in tema di ripartizione delle spese comuni di gestione. La Cassazione spiega dunque che si ha nullità «per impossibilità giuridica dell’oggetto, ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condòmini, da valere anche per il futuro». Ci troviamo invece in presenza del più leggero vizio di annullabilità nel caso in cui: «suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato».

Qual è il fondamento normativo di tale sottile ma rilevante distinzione?Orbene, le attribuzioni dell’assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali, sono circoscritte, dall’articolo 1135 del Codice civile, numeri 2 e 3, alla verifica ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese. L’articolo 1123 del Codice civile, consente le modifiche in parola solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio. L’assemblea che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge, o quelli convenzionalmente stabiliti, si troverebbe pertanto ad operare in difetto assoluto di attribuzioni.

La deliberazione che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, non ha carattere normativo, non incide cioè sui criteri generali valevoli per il futuro, e non è contraria a norme imperative. Essa sarà quindi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine (30 giorni) previsto dall’articolo 1137 del Codice civile, secondo comma.

La decisione della Suprema corte
Tornando al caso di specie, l’impugnazione proposta dalla società riguarda deliberazioni che si erano limitate a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se in violazione dei criteri stabiliti convenzionalmente. Tuttavia, ciò era avvenuto solo nel singolo caso, per quei determinati periodi di gestione, e non in via generale e per il futuro. Si è dunque in presenza di un vizio di annullabilità, da far valere a pena di decadenza nel termine previsto dal succitato articolo del Codice. La sentenza della Corte milanese appare dunque errata, e merita la cassazione con rinvio per un nuovo esame del caso.

Pur ritenendo del tutto sufficienti le argomentazioni sin qui svolte, i giudici di Piazza Cavour ritengono doveroso, da ultimo, analizzare altri due ulteriori aspetti emersi nella vicenda in esame: il giudicato formatosi su sentenza precedente, ed il presunto comportamento concludente del condominio. Ebbene, quanto al primo aspetto, la Cassazione ribadisce la rilevanza della necessaria identità delle parti e dell’unicità del rapporto giuridico dedotto in entrambi i giudizi. Nel caso di specie, secondo gli ermellini non può attribuirsi rilevanza al giudicato formatosi in relazione alla distinta impugnazione precedentemente spiegata; difatti, si tratterebbe di un distinto rapporto giuridico, pur se di contenuto identico o simile rispetto a quello in esame.

Quanto invece al secondo tema, non può valere il rilievo secondo cui le innumerevoli deliberazioni assunte dal condominio, tese ad approvare e ripartire tutti i consuntivi e preventivi spese in base a tabelle diverse da quelle allegate al regolamento e mai approvate, finirebbero per assurgere alla dignità di comportamento univocamente concludente dal quale si ricavi l’accettazione di metodi convenzionali di distribuzione delle spese. Da Piazza Cavour ci fanno difatti sapere che, per invocare validamente una simile circostanza, è sempre necessario che l’accettazione dei differenti criteri di riparto delle spese sia imputabile a tutti i condomini.La sentenza sin qui analizzata, costituisce indubitabilmente uno strumento fondamentale per condòmini, amministratori, ed operatori del diritto. Trattasi di pronunzia con cui la suprema Corte fornisce un valido insegnamento in un ambito certamente non scontato.

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