Condominio

Non è «identitario» l’uso della cosa comune: ammesso l’uso turnario quando non produce danni

Piena legittimità dell’assemblea nel regolamentare a maggioranza l'ordinaria amministrazione ed il miglior godimento degli spazi

di Selene Pascasi

Il pari uso della cosa comune, in tema di comunione ordinaria, non equivale ad assoluta identità d'utilizzo da parte di ciascun comproprietario che si tradurrebbe in un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure non alterando il rapporto di equilibrio tra i comunisti. A dirlo è il Tribunale di Rimini con sentenza 751 del 5 agosto 2021.

La vicenda
È un avvocato ad impugnare una delibera tacciandola di nullità per violazione del principio plebiscitario o, comunque, di vizi tali da determinarne l'annullamento. Scioltasi la società acquirente dell'immobile sede dello studio associato costituito con altri legali, spiega, si era trasferito e i locali venivano locati a dei professionisti. Ma, prosegue, la Srl veniva posta in liquidazione e, con delibera, ne trasferiva la proprietà ai soci in misura equivalente. Ecco che, divenuto comproprietario per 1/3 del bene indiviso, chiedeva ai comunisti di liberare lo stabile nei limiti della sua quota per permettergli di fruire effettivamente dell'immobile.

L'assemblea, tuttavia, decideva di continuare ad usare i ripostigli dell'interrato come archivi, i garage come posteggi e di mantenere al primo piano la disponibilità ed il godimento degli spazi e dei locali come inizialmente previsto e praticato. Reception e spazio retrostante, invece, sarebbero stati usati da tutti secondo le occorrenze. L'avvocato, però, non concorda ritenendosi leso nei diritti di comproprietario e cita i colleghi: l'assemblea, contesta, aveva adottato un regolamento che – istituendo limiti ed obblighi nell'esercizio dei diritti e dei poteri fisiologicamente connaturati alla qualità di comproprietario – era nullo per mancanza di unanimità. In ogni caso, la delibera andava annullata per grave pregiudizio al bene comune.

L’uso della cosa comune
I convenuti si difendono e il Tribunale ne accoglie le difese bocciando le domande dell'attore. In tema di comunione, ricorda, l'articolo 1102 del Codice civile dispone che ogni partecipante possa servirsi della cosa comune se non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne pari uso (uso collettivo o promiscuo). La quota di spettanza del comunista, dunque, non si riferisce ad una certa parte del bene comune potendo i comproprietari usarlo per intero in senso ideale, determinando la misura della singola partecipazione e di alcune facoltà.

Peraltro, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la nozione di pari uso della cosa comune non va intesa come assoluta identità dell'utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario poiché l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ognuno di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, anche ove non risultasse alterato il rapporto di equilibrio tra i condòmini nel godimento (Cassazione 7466/2015).

Corretto l’uso turnario
E la regolamentazione dell'uso del bene comune spetta alla maggioranza dei comunisti che possono decidere un uso turnario per cui l'annullabilità di una delibera assunta dalla maggioranza per ragioni di merito (opportunità e convenienza della scelta gestoria della cosa comune) si configura solo per vizi che arrechino gravi pregiudizi. Se, allora, la natura del bene comune non ne permette un simultaneo godimento, l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta o, appunto, con uso turnario che costituisce un corretto esercizio del potere di regolamentazione della maggioranza perché non impedisca il godimento individuale (Cassazione 29747/2017).

Conclusioni
In sostanza, l'unanimità sarà richiesta per l'approvazione dei regolamenti contrattuali e non per quelli di ordinaria amministrazione inerenti un miglior godimento del bene comune. Nella vicenda, pertanto, l'assemblea aveva deliberato in modo legittimo essendosi limitata a regolamentare a maggioranza l'ordinaria amministrazione ed il miglior godimento degli spazi. La delibera, poi, non incideva sui diritti del singolo, né stabiliva a suo carico obblighi o limiti, né fissava criteri non legali di divisione delle spese di manutenzione. Di qui, il rigetto da parte del Tribunale di Rimini delle domande formulate dall'avvocato.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©