Condominio

In condominio regolamento obbligatorio anche se non è trascritto

Essenziali sono l’utilità reale e la chiarezza assoluta della clausola da applicare

di Ivana Consolo

Con sentenza numero 21478 del 27 luglio 2021, seconda sezione civile, i giudici di Piazza Cavour formulano un principio di diritto molto interessante in tema di regolamenti di condominio.

La vicenda
La società proprietaria di uno stabile, chiedeva la rimozione o l'arretramento delle sopraelevazioni realizzate dalla proprietaria e dall'utilizzatrice in leasing di una porzione immobiliare di un vicino fabbricato, poiché ritenute lesive del diritto di veduta nonché contrarie al regolamento di condominio vigente. La Corte d'appello di Cagliari dava accoglimento alle pretese della società, ignorando le numerose doglianze di parte avversa. La Cassazione ritiene che, l'unico aspetto meritevole di essere considerato nel caso di specie, riguardi l’efficacia e l’opponibilità del regolamento vigente nel complesso condominiale ove insistono gli interessi ed i diritti delle parti.

Un regolamento di condominio, pur non trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari, se risulta richiamato nell’atto di acquisto, ha pieno valore contrattuale. Gli ermellini si soffermano sul contenuto e sulla portata di una specifica clausola presente nel regolamento condominiale in esame, secondo cui sarebbero vietate le innovazioni, e le semplici modifiche interessanti le parti di proprietà comune o esclusiva dell’edificio, senza la preventiva approvazione della maggioranza dei condòmini che rappresenti almeno i 2/3 del valore dell’edificio.

Il ragionamento della Suprema corte
Il tenore decisamente importante di questa clausola, porta la Cassazione a richiamare un principio già espresso ed ampiamente consolidato: «In tema di supercondominio, le clausole del regolamento contrattuale che assoggettino al peso della immodificabilità ogni singola unità immobiliare oggetto di proprietà esclusiva, a vantaggio di tutte le altre unità immobiliari, anche quando creino vincoli valevoli per gli aventi causa dalle parti originarie, non possono essere considerate nulle per violazione del principio del numero chiuso delle obbligazioni reali, giacché non costituiscono obbligazioni “propter rem”, dando bensì origine ad una servitù reciproca».

Partendo da tale assunto la Cassazione elabora un ragionamento successivo: se clausole di tale tipologia possono creare servitù reciproche in condominio, è necessario che vi sia un bene dominante che abbia una qualche utilità nel rapporto con il bene servente. Non dimentichiamo infatti che, una delle caratteristiche essenziali del diritto reale di godimento conosciuto come servitù prediale, sta nella utilità: vi deve cioè essere un qualche vantaggio giuridicamente lecito e meritevole in favore del bene dominante. Ciò posto e chiarito, appare necessario che la clausola in grado di creare servitù reciproche in un condominio abbia un contenuto molto preciso e dettagliato. Se il suo tenore fosse generico o indeterminato nell'oggetto, si creerebbero servitù di “non fare” o “non usare” tali da escludere qualsivoglia diritto di godimento sulle parti comuni, senza una reale e tangibile utilità.

Limitazioni da indicare con chiarezza
Ecco quindi che la Cassazione suggerisce alla Corte territoriale di soffermare ogni attenzione sul seguente principio di diritto: «le pattuizioni contenute nell’atto di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condòmini, ovvero relative alle parti condominiali dell’edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condòmino di usare, di godere e di disporre di tali beni, può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali, obbligazioni “propter rem”».

Secondo la Cassazione, ogniqualvolta non venga osservata la suesposta enunciazione di diritto, non può che conseguirne l’invalidità delle clausole che, con formulazione del tutto generica ed inidonea a superare la presunzione di cui all'articolo 1117 del Codice civile, limitano il diritto dei condòmini di usare, godere o disporre dei beni condominiali. Tale drastica conseguenza si giustifica soprattutto ove si consideri che con un regolamento di condominio contenente disposizioni come quelle su cui si è fin qui argomentato, si finisce con il riservare all’originario proprietario l’insindacabile diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti del suo bene.

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