Condominio

Distanze tra edifici e confini: le precisazioni della Cassazione

La Suprema corte si è soffermata in particolare su normativa applicabile, conseguenze ed eventuali responsabilita’ del progettista

di Ivana Consolo

Con sentenza numero 25498 del 21 settembre 2021, la Cassazione, seconda sezione civile, è intervenuta a dirimere ogni dubbio circa la normativa applicabile in tema di distanze tra fabbricati, o tra fabbricati e confini. Il provvedimento assume una particolare rilevanza, in quanto formula almeno tre principi di diritto importanti in termini di ricadute pratiche:
- il primo, riguarda il ruolo della normativa edilizia comunale rispetto alla normativa codicistica, l'avvicendarsi nel tempo di normative differenti, nonché la corretta individuazione della normativa applicabile caso per caso;
- il secondo, riguarda le concrete conseguenze derivanti dall'inosservanza delle distanze legali;
- il terzo, riguarda il ruolo (inteso come eventuale responsabilità) che il professionista incaricato di redigere il progetto edilizio viene ad avere nel caso di errori nel rispetto delle distanze conseguenti ad un'errata individuazione della normativa applicabile.

La normativa vigente
Il nostro ordinamento giuridico prevede che, nel momento in cui un privato cittadino decida di realizzare una costruzione, tale manufatto debba necessariamente osservare una distanza minima obbligatoria rispetto agli altri edifici, oppure rispetto al confine con l'altrui proprietà. Le ragioni di tale previsione normativa sono facilmente intuibili: motivi igienico - sanitari; rispetto della privacy; garanzia degli spazi necessari a non coprire le vedute altrui.Ogniqualvolta ci si avvia ad erigere un fabbricato, occorre dunque tenere bene a mente questa regola e prestare molta attenzione tanto alla normativa generale (gli articoli 873, 874, 875, 877 del Codice civile), quanto alle particolari normative edilizie vigenti in ogni singolo ente locale.

La vicenda e le pronunce di merito
Fatta tale premessa di carattere generale, veniamo all'esame di quanto deciso dalla Corte con la sentenza che si intende commentare. Tutto nasce dal contenzioso tra alcuni privati cittadini; da una parte vi è il proprietario di un edificio costruito a ridosso dell'altrui proprietà terriera, dall'altra i proprietari del terreno limitrofo. La progettazione dell'opera edilizia era stata affidata ad un geometra, anch'egli coinvolto nel procedimento giudiziario, tanto che il giudizio di Cassazione viene avviato, con ricorso principale, proprio dall'erede del professionista. I proprietari del terreno confinante con l'edificio lamentano il mancato rispetto delle distanze minime obbligatorie che, sulla base del piano regolatore generale vigente fin dal 1993 nel Comune di residenza delle parti in causa, devono essere pari ad almeno 10 metri.

Il proprietario dell'edificio, ritiene invece che sia applicabile la differente e speciale normativa del regolamento igienico edilizio datato 1971, che pone la distanza minima obbligatoria a metri 5 dal confine. Si precisa che, il regolamento cui si fa riferimento, è una normativa speciale dettata per le costruzioni di edifici rurali bifamiliari ed attinenti all'attività agricola della famiglia.La Corte d'appello di Torino, il cui operato viene sottoposto al vaglio della Cassazione, aveva dato per assodato che il caso di specie fosse disciplinato dalla sola normativa codicistica, esattamente dall'articolo 873 del Codice civile. Il giudizio di appello si concludeva con la condanna al ripristino dello stato dei luoghi, da realizzarsi con l'arretramento dell'edificio fino a 10 metri dal confine; veniva inoltre contemplata la condanna (a carico dell'erede del geometra progettista) al risarcimento del danno in favore del proprietario dell'edificio.

Le prescrizioni dei piani regolatori generali
Con ricorso principale e ricorsi incidentali, la Cassazione viene chiamata a correggere gli errori di diritto commessi dalla Corte territoriale e, con la sentenza del 21 settembre ultimo scorso, formula alcuni rilevanti principi.Il primo importante principio che emerge dalla sentenza in esame è il seguente: le prescrizioni dei piani regolatori generali e dei vari regolamenti edilizi comunali che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative al Codice civile ed hanno pieno valore di norme giuridiche. Il giudice è dunque tenuto a conoscerle ed a fare sì che vengano correttamente applicate, senza mai dare per scontato che sia sempre ed automaticamente applicabile la normativa codicistica.

Esse sono di immediata applicazione, perché sono dirette alla tutela dell'interesse generale nel campo urbanistico, indipendentemente dall'interesse del privato cittadino. Posta la necessaria concessione edilizia, se successivamente all'ottenimento della stessa subentra una normativa differente, le costruzioni devono adeguarsi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione. Se il piano regolatore generale entra in vigore in un momento successivo rispetto a norme edilizie comunali speciali che i costruttori dell'edificio ritengono pacificamente applicabili, il piano regolatore successivo deve prevalere su tutti i precedenti regolamenti comunali, soprattutto nel caso in cui ponga regole di carattere ampio, senza cioè distinguere tra situazioni differenti o ipotesi speciali.

La successione di normative ed i criteri di prevalenza
Nel caso in esame, il piano regolatore era entrato in vigore nel 1997 e, in tema di distanze tra edifici o tra edifici e confini, non prevedeva distinzioni in base alla destinazione agricola o meno degli immobili. Pertanto, la Cassazione ha ritenuto che tale normativa dovesse prevalere sul vecchio regolamento igienico edilizio del 1971, ritenendo altresì non meritevole di alcuna considerazione la natura rurale della costruzione.Il secondo importante principio che emerge dalla sentenza, riguarda le sorti delle costruzioni non in regola con le distanze.La Cassazione asserisce che la demolizione dell'opera non sia sempre necessaria ed inevitabile. Se difatti è possibile ridurre le distanze entro i limiti di legge, si può semplicemente procedere con la demolizione delle sole parti che eccedono i limiti previsti.

La responsabilità del progettista
Il terzo rilevante principio desumibile dalla sentenza in esame è quello relativo alla eventuale responsabilità del professionista progettista.Difatti, se la violazione delle distanze comporta l'obbligo di demolizione, anche parziale, è possibile che il proprietario dell'edificio possa avere il diritto di chiedere un risarcimento danni al professionista cui aveva affidato lo studio e la progettazione dell'opera edilizia.Secondo la Corte, il progettista deve non solo redigere il progetto, ma deve farlo con la necessaria competenza professionale, dimostrando la conoscenza della vigente normativa edilizia locale ed evitando così che la sua “ignoranza” giuridico/legislativa possa creare poi successivi seri problemi in capo ai committenti.

Se il professionista ritiene che non sia facile l'individuazione della normativa concretamente applicabile, l'unico modo per escludere la sua responsabilità è quello di invocare la speciale difficoltà del caso. Il professionista non sarà tuttavia tenuto sempre e comunque a tenere indenni i suoi clienti da eventuali problemi; difatti, la sua responsabilità sarà concretamente operante soltanto se realmente il cliente si vedrà costretto, per espresso e formale ordine giudiziario, a demolire in tutto o in parte il suo fabbricato.

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