Condominio

In una comunione di due persone(minima), il comunista che ha quota maggioritaria vincola l’altro

La votazione nella comunione infatti è diversa dal condominio: è espressa per sole quote e le delibere assembleari sono assunte a maggioranza

di Fulvio Pironti

Mentre nel condominio vige la doppia maggioranza (di teste e millesimi), la votazione nella comunione è espressa per sole quote e le delibere assembleari sono assunte a maggioranza. Ne discende che anche un solo comunista titolare della quota maggioritaria vincola la minoranza. È questo l'importante chiarimento reso dalla corte Suprema di Cassazione, II sezione civile, con ordinanza 25184 pubblicata il 17 settembre 2021.

La vicenda
Il caso di specie trae origine da un fondo in regime di comunione fra due comproprietari le cui quote erano rispettivamente pari ad un terzo per l'uno e due terzi per l'altro. Il partecipante di maggioranza aveva convocato l'assemblea e deliberato, con proprio assenso maggioritario rappresentativo dei due terzi, l'approvazione di vari preventivi per regolare i confini, dar corso ad opere manutentive e istituire un conto corrente intestato alla comunione su cui farvi confluire l'acconto per fronteggiare l'impegno di spesa. Il comunista di minoranza disertava l'assemblea e impugnava le delibere dinnanzi al Tribunale di Benevento evidenziandone l'invalidità poiché approvate con il solo consenso del comproprietario di maggioranza.

L'impugnativa sortiva esito negativo per cui gravava la sentenza dinnanzi alla Corte di appello di Napoli la quale, riconoscendo valida ed efficace la delibera presa con il quorum di maggioranza previsto dall'articolo 1108 Codice civile (secondo il quale con la «…maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune… » possono essere deliberate opere innovative e «compiere gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione… ») confermava la pronuncia di primo grado. Ricorreva in Cassazione dolendosi, in particolare, della approvazione assembleare avvenuta con votazione espressa da un solo comunista, titolare di una quota pari ai due terzi, e quindi in difetto della duplice maggioranza prescritta dall'articolo 1136 Codice civile.

La decisione
La ricorrente lamenta che alla questione non sia stata applicata la disciplina del condominio minimo costituito da due partecipanti. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità (sezioni Unite 2046/2006, numero 5329/2017, numero 16075/2007) sostiene che l'assemblea del condominio minimo delibera validamente soltanto con l'assenso totalitario di entrambi i condòmini. In difetto (vuoi perché l'assemblea decide in presenza di entrambi i condòmini in modo contrastante, vuoi perché alla assemblea interviene un solo condomino) è necessario demandare la questione all'autorità giudiziale in sede di volontaria giurisdizione in ragione di quanto previsto dagli articoli 1105, comma 4, e 1139 Codice civile. La conseguenza sarebbe stata l'invalidità della delibera assembleare assunta con il voto dell'unico comunista intervenuto.

Tuttavia, la corte Suprema osserva che la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente a sostegno dell'assunto difensivo è inutilizzabile perché inappropriata alla fattispecie. Infatti, erra nell'aver circoscritto l'oggetto della contesa nell'àmbito della disciplina condominiale in quanto è assoggettato al differente regime della comunione. Precisa, poi, che «ai sensi dell'articolo 1105 Codice civile, ai fini della validità della delibera non è necessaria la presenza di un numero minimo di partecipanti» e soggiunge che «la maggioranza, calcolata sul valore delle quote, è riferita dal secondo comma dell'articolo 1105 Codice civile ai partecipanti alla comunione e non ai partecipanti all'assemblea».

Le differenti discipline comunione/condominio
La disciplina comunistica differisce da quella condominiale nella quale - rileva la Corte - «il criterio del valore è accoppiato al criterio numerico, richiedendosi la presenza di un certo numero di persone all'assemblea». Ne discende che il comunista, per quanto detentore di una quota maggioritaria che rappresenti i due terzi, non può eseguire opere innovative senza aver prima adunato l'assemblea. Ove adottata con la prescritta maggioranza, la delibera sarà valida e vincolerà la minoranza (presente dissenziente o assente). In definitiva, la Corte di legittimità ha rigettato il ricorso poiché la sentenza di secondo grado, censurata nella parte in cui ha riconosciuto valida la delibera assembleare ritenendola conforme al dettato espresso dall'articolo 1108 Codice civile, è esente da critica.

La relazione al Codice civile
Val la pena andare a ritroso per meglio comprendere le ragioni del legislatore in occasione del varo del Codice civile relativamente alla disposizioni sulla comunione. Ebbene, l'articolo 520 della Relazione al Codice civile del 1942 chiarisce che i poteri della maggioranza sono disciplinati dagli articoli 1105, 1106 e 1108. Specifica, poi, che per gli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione, è sufficiente «la semplice maggioranza, calcolata secondo il valore delle quote» mentre per le opere innovative è richiesta una «maggioranza qualificata che rappresenti almeno i due terzi del valore complessivo della cosa comune» (la stessa maggioranza qualificata è richiesta anche per gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione). Fanno eccezione gli atti di alienazione, costituzione di diritti reali sul fondo comune e le locazioni superiori al novennio per i quali è richiesto l'assenso totalitario.

La comunione è retta dal principio maggioritario quotista
Da ciò emerge che la quota rappresenta la misura della singola partecipazione alla comunione per cui ad una maggiore quota corrisponderanno maggiori diritti e doveri. La comunione classica è retta dal principio maggioritario quotista che, quale frazione ideale dell'intero, è il parametro che determina i diritti e i doveri di ogni comunista. In forza del principio maggioritario le deliberazioni adottate dalla maggioranza delle quote vincolano anche i dissenzienti e gli assenti. Differentemente dal condominio (ove è richiesta una duplice maggioranza, teste e valore), nella «comunione minima» (ovvero quella costituita da due comunisti) anche un solo comunista detentore di quota maggioritaria (o, eventualmente, di più quote che assieme costituiranno l'asse maggioritario riunito in capo ad un comunista) può imporre le scelte decisionali sulla minoranza (costituita da uno o, eventualmente, più comunisti).

Il principio maggioritario si applica a tutti gli atti volti alla conservazione o al miglioramento del bene comune. Le decisioni sono vincolanti per la minoranza dissenziente. Vengono assunte con la maggioranza semplice (metà più uno) computata sul valore delle quote (e non in base al numero dei comunisti). In dottrina (F. Gazzoni) si è ribadito che, ad esempio, «se la comunione è formata da sei comproprietari, l'unico comproprietario con quota del 51% fa prevalere la propria volontà su quella degli altri cinque che si dividono il residuo 49%».Vengono assunte con la maggioranza qualificata, costituita dai due terzi del valore complessivo della cosa comune, le delibere riguardanti gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione tra cui le innovazioni volte al miglioramento del bene che non importino una spesa gravosa e tutti gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione (naturalmente, a condizione che non pregiudichino il godimento e l'interesse dei partecipanti). Per gli atti di alienazione della cosa comune, gli atti di costituzione di diritti reali sul fondo comune e le locazioni ultranovennali è invece richiesto, in quanto incidenti sul diritto di ciascun comunista, il consenso unanime di tutti i partecipanti.

Conclusioni
La pronuncia della Cassazione assume particolare rilievo ed interesse perché traccia il concetto di «comunione minima», ovvero costituita da due soli comunisti, chiarendone le sfaccettature più intrinseche. Esamina e compara la «comunione minima» con il «condominio minimo» (in entrambi i casi costituiti da due partecipanti) ponendo in risalto le nette diversità in ordine alla estrinsecazione del consenso assembleare. Rileva la profonda diversità nella costituzione della maggioranza nel condominio e nella comunione. Delinea, poi, le conseguenze scaturenti dalle assemblee del «condominio minimo» e della «comunione minima». In caso di contrapposizione, assenza o disaccordo, nell'ipotesi del «condominio minimo» si porrà la necessità di ricorrere al giudice camerale per risolvere l'acceso conflitto. Al contrario, nell'ipotesi della «comunione minima» nessun ostacolo si frapporrà in quanto si riterrà valida ed efficace la delibera assembleare assunta con il voto del solo quotista di maggioranza.

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