Condominio

Un atto scritto o l’usucapione possono provare che il cortile non rientra tra i beni condominiali

Il bene è del condominio se in uso a tutti i proprietari, il cortile è tale perché dà aria e luce, ma può essere anche di proprietà di un solo condomino

di Rosario Dolce

Come si fa a provare che il cortile non è una parte comune del condominio? A questa domanda pone una risposta la Cassazione con ordinanza 23670 del 31 agosto 2021, esaminando entrambe le soluzioni prospettabili: ovverosia l'acquisito a titolo derivativo (tramite contratto), o a titolo originario (usucapione).

Il fatto
La materia del contendere era legata alla valutazione sulla domanda formulata da parte di un condòminio il quale assumeva che l'area cortilizia fosse di sua esclusiva proprietà, e, in quanto tale, sottratta dal regime di cui all'articolo 1117 Codice civile. Intanto, i giudici di legittimità precisano che, ai fini della presunzione di comproprietà del cortile per le unità immobiliari che vi si affacciano, è sufficiente che queste da esso traggano aria e luce.La ratio della norma contenuta nell'articolo 1117 Codice civile si fonda sulla funzionalità oggettiva dei beni ivi indicati e cioè sulla loro attitudine a servire l'immobile condominiale (a tal proposito, è stato richiamato, come precedente, il provvedimento numero 2142 del 10 giungo 1976).

La prova scritta
L'esclusione, invece, dal novero delle cose in condominio, di alcune di quelle parti dell'edificio che sono presunte di proprietà comune, incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale. In quanto tale, per poter raggiungere tale conclusione (l'addotta esclusione dal novero delle parti comuni) occorre che la stessa sia sancita e risulti da un atto scritto.Il titolo al quale si richiama la norma sulla presunzione della condominialità non può, d'altronde, che essere un atto scritto: all'uopo, se non è necessario che l'esclusione anzidetta sia dichiarata espressamente, e pur sempre indispensabile, al fine di vincere la presunzione legale, che il “contrario” (e cioè l'attribuzione in proprietà esclusiva ad uno dei condòmini) risulti in modo chiaro ed inequivoco; è necessario, cioè, che dal titolo emergano elementi tali da essere in contrasto con l'esercizio del diritto di condominio (tra i precedenti citati, si vedano Cassazione 27145/ 2007).

L'usucapione
Gli stessi limiti sostanziali, infine, si apprezzano anche nell'altra modalità di acquisto della “proprietà comune”, quale quella che potrebbe discendere dall'istituto dell'usucapione.In questi termini, l'attenzione che il giudice deve riservare alla domanda di cui trattasi – soggiungono i giudici di legittimità - è quella di verificare come e quando sia occorso il mutamento del possesso da parte del condòmino che assume la proprietà esclusiva dell'area comune. In questi termini, si discorre di “interversione del possesso” (cioè il mutamento dell'apprensione del bene, che si trasforma da detenzione qualificata a possesso esclusivo).

Ora, per l'interversione del possesso nei rapporti tra comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene.Tale comportamento deve, inoltre, inequivocabilmente denotare l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato materiale dell'atto posto in essere (si pensi alla recinzione dell'area), il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (ivi richiamata la Cassazione 11903/2015).

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