Condominio

Trasformazione del balcone in veranda: serve il permesso di costruire

Si tratta infatti di una ristrutturazione edilizia che comporta variazioni di sagoma e prospetto dell’edificio

di Fulvio Pironti

La trasformazione di un balcone in veranda, intervento edilizio che determina la variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile, è soggetta al rilascio del permesso di costruire. È quanto stabilito dal Tribunale amministrativo regionale della Campania - Napoli, con sentenza del 22 giugno 2021, numero 4280 , mediante la quale ha rigettato il ricorso confermando il provvedimento del Comune di Napoli.

La vicenda
Il ricorrente impugnava dinnanzi al Tar partenopeo la disposizione dirigenziale con cui gli veniva ingiunto il ripristino dello stato preesistente del balcone illegittimamente trasformato in veranda in alluminio anodizzato a vetri. Insisteva nel considerarla un modesto manufatto di minimale importanza avente natura pertinenziale, quindi esente da qualsiasi titolo abilitativo. Chiedeva, pertanto, l'annullamento del provvedimento municipale adducendo che il Comune non aveva valutato il pregiudizio che sarebbe derivato dalla demolizione della veranda alla porzione di manufatto legittimamente edificata. Tale violazione si connotava particolarmente grave per la distanza temporale intercorsa fra l'accertamento e la contestazione operata con il provvedimento. Il Comune di Napoli resisteva chiedendo il rigetto del ricorso.La veranda, non essendo pertinenza, necessita del permesso di costruire.

La pertinenzialità del bene
Il Collegio decidente rileva che l'intervento edilizio è consistito nella costruzione di una veranda. La stessa, tuttavia, non può essere qualificata un'opera pertinenziale in quanto la giurisprudenza è costante nel ritenere la nozione di «pertinenza urbanistica» meno ampia di quella espressa dall’articolo 817 Codice civile per cui non può essere consentita la realizzazione di un'opera di considerevoli proporzioni sul presupposto che sia destinata al servizio di un bene principale. Nel caso di specie - ritiene il Tar - la veranda non è qualificabile come elemento accessorio del manufatto principale poiché modifica sagoma e prospetto. Anche l'installazione di tettoie apposte su parti di edifici come strutture accessorie protettive di spazi liberi, è sottratta al regime del permesso di costruire nel caso in cui la conformazione e le ridotte dimensioni evidenzino le finalità di arredo o di riparo dell’immobile cui accedono. Tali strutture, qualora le dimensioni concorrano ad alterare visibilmente l’edificio, non saranno installabili in assenza del permesso di costruire.

Necessità del titolo edilizio per variazione planovolumetrica e architettonica
Gli interventi edilizi che determinano variazioni planovolumetriche e architettoniche dell’immobile, tra cui si annoverano le verande realizzate sui balconi, sono assoggettati al rilascio del permesso di costruire. La Conferenza Stato-Regioni (20 ottobre 2016) definisce la veranda come un «locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili». Nella dizione tecnico-giuridica, la veranda è un nuovo ambiente autonomamente utilizzabile per cui viene meno il carattere precario. Non è destinata a sopperire ad esigenze transitorie essendo, al contrario, proiettata in un durevole arco temporale (con ampliamento del godimento dell’immobile). Del resto, nemmeno la natura dei materiali impiegati ha rilievo in quanto, se pur realizzata con pannelli in alluminio o in legno, determina sempre un incremento volumetrico. Le strutture ancorate stabilmente al piano calpestabile comportano la chiusura di una parte del balcone per cui sono destinate ad accrescerne la volumetria.

La realizzazione della veranda è ristrutturazione edilizia
La trasformazione del balcone in veranda incide infatti sulla modifica del prospetto. L'opera va qualificata intervento di ristrutturazione edilizia poiché determina l’addizione di nuovi elementi ed impianti. Pertanto, rientra nel regime del permesso di costruire qualora modifichi la sagoma o il prospetto dell'edificio. Il Tar Campania precisa altresì che in presenza di opere abusive l'ordine di rimessione in pristino va inteso come provvedimento doveroso. Soggiunge che l'abusività dell'opera rende l'ordine di demolizione rigidamente vincolato per cui non è richiesta alcuna specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico e nemmeno la comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: non è configurabile alcun affidamento tutelabile al mantenimento di una situazione di illecito permanente che il tempo in alcun modo non può legittimare.

Nemmeno è richiesta una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico alla demolizione in rapporto al danno all'ambiente o al paesaggio; l'interesse pubblico alla demolizione si concreta nel ripristino della lesione inferta all'assetto urbanistico. È bastevole il richiamo della abusività dell'opera in rapporto alla strumentazione urbanistica e di tutela paesaggistica.

La sanzione pecuniaria alterna tiva alla demolizione
Al riguardo, la decisione evidenzia che mentre l'ingiunzione demolitiva costituisce la prima fase del procedimento repressivo (in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell'abuso commesso), il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale (circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non adempia spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emani l'ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale o parziale difformità del permesso di costruire.

Soltanto nella seconda fase non può ritenersi legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione sulla entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempreché vi sia stata espressa richiesta dell'interessato. Tuttavia, nella fattispecie, l'affermazione sul danno che sarebbe derivato alla parte legittimamente edificata del manufatto non è apparsa supportata da elementi tecnici dimostrativi.Tali rilievi hanno impedito l'accoglimento del ricorso, considerato che la sanzione pecuniaria va disposta alternativamente solo nel caso in cui sussista l'impossibilità di poter demolire, quindi nel solo caso in cui risulti, scrive il collegio giudicante, «in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso senza che, pertanto, possano venire in rilievo aspetti relativi all'eccessiva onerosità dell'intervento». In definitiva, il Tar ha respinto il ricorso poiché manifestamente infondato.

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