Condominio

Chi chiede la modifica delle tabelle millesimali deve provare la violazione alla base della richiesta

Se i condòmini hanno accettato una diversa determinazione delle quote, la loro volontà ha valore negoziale, equivale ad impegno irrevocabile

di Selene Pascasi

Il diritto di chiedere la revisione delle tabelle millesimali è condizionato dall'esistenza dei presupposti di legge con prova a carico – almeno per gli errori oggettivamente verificabili – di chi vuole la modifica. Ad affermarlo è il Tribunale di Roma con sentenza numero 5610 del 1° aprile 2021.

I fatti
La controversia nasce dall'ingiunzione di pagamento, emessa su ricorso di un amministratore, con cui si pretende dalla proprietaria di un immobile il pagamento di circa 7 mila euro per oneri insoluti. La donna si oppone. L'edificio, spiega al giudice, si trova in zona soggetta a vincoli, non è ancora abitabile né commerciabile perché necessitante di sostanziosi lavori di ristrutturazione e carente dei requisiti per il rilascio del certificato di agibilità. Non solo. Essendo privo di allacciamento al sistema fognario comunale occorre un nuovo impianto di depurazione delle acque reflue ma per realizzarlo mancano idonei spazi esterni limitrofi di proprietà comune per cui è costretta a fruire di un'area retrostante esclusiva, in via di acquisizione.

Ma, per decisione del detentore del 51% della caratura millesimale, la destinazione d'uso dell'area e del manufatto in cemento armato lì ubicato è mutata in residenziale. Ciò nonostante, l'assemblea aveva spartito secondo la tabella di proprietà generale tutte le spese di ristrutturazione, senza distinguere fra quelle relative all'edificio (realmente comuni) e quelle per il manufatto (spettanti ai proprietari esclusivi). In sostanza, denuncia l'errore essenziale nel calcolo delle tabelle e l'inesistenza di un piano approvato di divisione della voce di debito. Il Tribunale non concorda ma, per avvenuto parziale pagamento, revoca formalmente il decreto.

La delibera quale titolo di credito
Le eccezioni attinenti alla validità delle delibere invocate come titoli della pretesa monitoria, premette, non possono direttamente valutarsi siccome efficaci ed obbligatorie fino a sospensione giudiziale. Ogni condòmino, quindi, a prescindere dal suo dissenso o da vizi della decisione, è tenuto a corrispondere quanto approvato. L'importo fissato in delibera, infatti, è titolo di credito del condominio, ne prova l'esistenza e legittima sia l'emissione dell'ingiunzione che la soccombenza di chi si sia opposto. E nell'opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso per la riscossione di contributi su ripartizione approvata in assemblea, l'opponente non può far valere rilievi sulla validità della delibera ma solo sulla sua efficacia (Cassazione, sezioni Unite, 4421/2007).

Il giudice, pertanto, potrà soltanto verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera ma non sindacarne la validità, trattandosi di attività riservata al giudice investito dell'impugnativa. Circa la revisione delle tabelle, il Tribunale ricorda che se i condòmini abbiano accettato una diversa determinazione delle quote, la loro volontà ha valore negoziale, equivale ad impegno irrevocabile e blocca la revisione per la quale (ai sensi dell'articolo 69 disposizioni attuative Codice civile) conta solo l'oggettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità e quello proporzionale ad esse attribuito in tabella.

Conclusioni
Il diritto di chiedere la revisione, in sintesi, dipenderà dall'esistenza dei presupposti di legge con prova a carico, almeno per gli errori verificabili, di chi voglia la modifica. E la rettifica o modifica disposta dal giudice è costitutiva per cui fino al suo passaggio in giudicato varrano le vecchie tabelle, seppur errate. Tuttavia, nella fattispecie, il Tribunale – preso atto del sopraggiunto parziale pagamento – revoca il decreto ingiuntivo e condanna al saldo della somma ancora dovuta.

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