Condominio

Obbligato al risarcimento il condòmino che si annette l’uso esclusivo del corridoio antistante le cantine

In questo modo infatti impedisce del tutto ad altri l’utilizzo

di Selene Pascasi

Se si prova un uso della cosa comune, da parte di uno dei condòmini, tale da impedirne l'altrui utilizzo, anche solo potenziale, scatta automaticamente il danno patrimoniale per il lucro interrotto. Lo scrive il Tribunale di Roma con sentenza 3553 del 1° marzo 2021.

I fatti
Sono alcuni proprietari a citare i comproprietari dell'attico condominiale accusandoli di aver abusivamente annesso alla loro proprietà una porzione del corridoio del locale cantine di proprietà comune. Abusive, anche ulteriori iniziative. Così, chiedono la condanna alla rimessione in pristino del corridoio e delle altre parti comuni illegittimamente alterate e/o modificate ed il risarcimento del danno. I convenuti si difendono eccependo la carenza di legittimazione ad agire dei condòmini spettante solo al condominio e contestano il resto.

La valutazione dei singoli abusi
Il Tribunale boccia l'eccezione sulla legittimazione – alla luce del fatto che il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da chi ne è parte, bensì un ente di gestione che opera senza interferire nei diritti autonomi di ciascuno – e accoglie in parte la pretesa soffermandosi su ciascuna delle opere ritenute abusive. Circa il corridoio di accesso alle cantine, elemento essenziale per raggiungere le singole proprietà esclusive, il giudice ricorda che è per presunzione di legge incluso fra le parti comuni. Ed è noto che ogni condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri il pari uso e, a tal fine, può apportarvi a sue spese modifiche necessarie per il migliore godimento.

I limiti all’uso esclusivo di parti comuni
I limiti cui è soggetto, quindi, sono due: divieto di alterarne la destinazione e divieto di impedirne agli altri partecipanti il pari uso. Ebbene, nella vicenda, l'uso della cosa comune si era esteso oltre tali limiti: la parte originariamente antistante le due cantine era stata totalmente sottratta all'uso comune e divenuta pertinenza esclusiva delle cantine accorpate dei convenuti. Del resto, per pari uso non si intende il pari altrui diritto né un uso identico e contemporaneo essendo sufficiente che gli altri partecipanti siano in grado di soddisfare anche le loro potenziali esigenze (Cassazione 28111/2018).

In sostanza, nel caso di uso del bene comune da parte del singolo, occorre solo verificare se lo specifico uso possa comportare una definitiva sottrazione del bene alla disponibilità altrui o se con tale utilizzo ne sia rimasta invariata la destinazione principale. Ma i convenuti, accorpando il tratto di corridoio nella proprietà delle loro cantine, lo avevano sottratto in modo definitivo alla disponibilità altrui. Quel manufatto, dunque, era illegittimo. Stessa conclusione per altre opere ma non per tutte. Alcune, infatti, erano consentite.

Mai ostacolare la legittima fruizione altrui
Per tale ragione, la rimozione viene ordinata solo per alcune modifiche e la richiesta risarcitoria viene accolta limitatamente all'annessione della porzione del corridoio comune nel locale cantine risultando provato che l'opera aveva comportato la definitiva sottrazione del bene alla disponibilità degli altri condòmini. Il fatto illecito, insomma, aveva inibito la naturale destinazione d'uso del bene ed ostacolato la libera fruibilità dell'area agli altri. Al riguardo, il giudice ricorda che – una volta provato l'uso da parte di uno dei condòmini della cosa comune tanto da impedirne l'altrui uso, anche potenziale – sia automaticamente risarcibile il danno patrimoniale per il lucro interrotto, come quello impedito nel suo potenziale esplicarsi (Cassazione 468/2019).

Al contrario, conclude il Tribunale di Roma, non scatta il danno non patrimoniale da disagio psico-fisico conseguente alla mancata utilizzazione di un'area comune, potendosi ammettere tale risarcimento solo per la lesione di interessi di rango costituzionale o nei casi previsti dalla legge e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile (Cassazione 26972/2008).

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