Condominio

Il ripostiglio comune non si può vendere

di Rosario Dolce

Le parti comuni o le loro porzioni annesse alla proprietà privata (come, per esempio, una parte di un volume tecnico) non si possono vendere senza il consenso di tutti i condòmini, pena la nullità del contratto di compravendita in favore di terzi. Lo precisa la Cassazione (sentenza 9361/2021).

Il caso da cui prende spunto la controversia è un edificio costruito da alcuni fratelli e in proprietà indivisa degli stessi. In particolare, con la vendita di un'unità immobiliare ubicata all'interno del fabbricato in favore di una sorella, si era omesso di considerare che, a partire da tale momento storico, nasceva il condominio nell'edificio.

Il giudice d'appello non considerava infatti che con l'atto di vendita - con il quale i costruttori dell'edificio avevano trasferito alla sorella uno dei tre appartamenti siti al primo piano e la quota “pari a un terzo del ripostiglio condominiale per attrezzi di pulizia posto al piano terra”, con la specificazione che era “compresa nella vendita la comproprietà delle parti comuni” a norma dell'articolo 1117 del Codice civile – era sorto il “condominio” e da quel momento i fratelli costruttori avevano perso la qualità di proprietari esclusivi delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio.

Quindi, una volta costituito il condominio, con atto che prevedeva la comproprietà del ripostiglio condominiale e delle parti comuni, i fratelli “costruttori” non potevano disporne come se fossero unici proprietari del “ripostiglio e delle altre parti divenute comuni”, anche se le stesse erano state in passato “abusivamente modificate”.

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