Condominio

Per pari uso del bene si intende quello potenziale che ciascuno dei condòmini potrebbe farne

Per verificarne il rispetto quindi non si dovrà guardare all'utilizzo concreto che ne facciano i comunisti in un determinato momento

di Selene Pascasi

Il pari uso del bene comune non va inteso come assoluta identità d'utilizzo da parte del comproprietario perché ciò comporterebbe per ciascuno il divieto di servirsene. A pesare, il fatto che – pur traendone un'utilità maggiore e più intensa rispetto a quella fruita dagli altri – il comproprietario non ne alteri la destinazione e non leda il pari uso dei comunisti. Ma per stabilire se l'uso più intenso da parte del singolo sia consentito non conterà l'uso concreto della cosa da parte degli altri bensì quello potenziale che ciascuno potrebbe farne. Lo ricorda la Corte di appello di Palermo con sentenza numero 996 del 29 giugno 2020.

La vicenda
Apre la lite, la domanda di due coniugi – titolari del diritto di uso esclusivo del lastrico di un edificio e del vano lì realizzato – tesa a farne accertare l'esclusiva proprietà. Controparte eccepisce l'appartenenza del lastrico a tutti i proprietari degli alloggi dello stabile condominiale ma il Tribunale riconosce la proprietà esclusiva in favore della coppia. La controversia arriva in appello e la Corte aggiusta il tiro: il lastrico è parte comune con diritto di superficie dei consorti. I costruttori, spiega, si erano riservati il diritto di costruire sull'area sovrastante l'ultimo piano ma non la proprietà del lastrico che rimaneva comune. Tutti i successivi atti di vendita, quindi, potevano riguardare solamente il trasferimento del diritto di superficie.

La Corte, però, precisava che al diritto di superficie si accompagnava l'uso illimitato del lastrico. La circostanza viene contestata in Cassazione la quale rinvia a diversa composizione della Corte di appello incaricandola di verificare, sulla base degli atti di vendita, l'effettiva ampiezza del diritto d'uso del lastrico solare. Ebbene, da quei carteggi risultava espressamente inserita la clausola per cui solo l'area soprastante alla copertura del quarto piano restava di proprietà dei venditori che, di conseguenza, avrebbero potuto trasferire solamente il diritto di superficie perché solo di quello erano titolari. Ecco che i coniugi, ultimi acquirenti, a loro volta erano titolari solo del diritto di superficie sul lastrico che era restato di proprietà comune. Esclusa, inoltre, la facoltà di servirsene senza limiti.

La nozione di pari uso comune
Tanto chiarito, la Cassazione ribadisce che la nozione di pari uso della cosa comune non va intesa come assoluta identità d'utilizzo da parte di ogni comproprietario poiché l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio anche qualora non si alteri il rapporto di equilibrio tra i compartecipanti nel godimento dell'oggetto della comunione. Si riafferma, dunque, che ciascun comproprietario ha il diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene fruita dagli altri comproprietari purché non ne alteri la destinazione o non ne comprometta l'altrui pari uso.

E per stabilire se l'uso più intenso da parte del singolo sia permesso non dovrà guardarsi all'utilizzo concreto che ne facciano i comunisti in un determinato momento ma a quello potenziale che ciascuno dei comproprietari potrebbe farne. Di qui, esaminati gli interventi realizzati dai coniugi, scatta la condanna alla rimozione solo delle opere fra quelle contestate che realmente violavano i limiti descritti. Queste, le ragioni per cui la Corte di appello di Palermo opta per il parziale accoglimento dell'impugnazione formulata dai condòmini.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©