Condominio

Condominio e disabilità: una convivenza difficile

Le pronunce giurisprudenziali sono a favore di interventi che facilitino i condòmini con carenze motorie. Per i lavori è però necessario, anche se non sempre, il via libera dell’assemblea

di Luca Capodiferro - Coordinatore nazionale Centro studi giuridici Confabitare

Se già la convivenza in condominio di suo non sempre risulta «pacifica», possiamo immaginare cosa voglia dire doverla imporre per legge laddove una delle parti – sempre la più debole – sia un diversamente abile. E quando un'assemblea vota di non realizzare interventi che consentano a queste persone di poter fruire del proprio immobile «con dignità», è segno che siamo ben lontani dal poter parlare astrattamente ed in generale di «società civile».

Le spese per l’adeguamento degli stabili
Ed infatti, nonostante l'approvazione della legge 9 gennaio 1989 n° 13 abbia di fatto codificato il diritto alla tutela delle disabilità nel condominio, nella realtà di tutti i giorni il superamento delle barriere architettoniche rimane un problema spesso fonte di profondi dissidi fra i condòmini. Se è pur vero che, a volte, le opere richieste appaiono eccessive rispetto, magari, alla situazione oggettiva dello stabile, è innegabile che, nella quasi totalità dei casi, il rifiuto da parte dell'assemblea condominiale all'esecuzione dei lavori discenda unicamente da un elemento che mette tutti d'accordo: la spesa per l'esecuzione dei lavori non la vuole sostenere nessuno.

La definizione di barriera architettonica
Cercherò con questo breve lavoro di fare il punto della situazione sotto l'aspetto della legittimità e dignità giuridica, senza entrare in dettagli troppo tecnici. Intanto penso sia opportuno partire da quella che i giudici accettano come definizione di barriera architettonica: si tratta di qualunque elemento costruttivo che impedisca, limiti ovvero renda difficoltosi gli spostamenti ovvero la fruizione dei servizi comuni, così come del proprio appartamento, con particolare riferimento alle persone con limitata capacità motoria. Soffermiamoci su quest'ultimo elemento.

Il richiamo alla «limitata capacità motoria» è importante perché, con questa dizione, si estende da parte dei giudici l'applicazione della legge non solo alle persone propriamente e «tecnicamente» disabili, ma altresì alle persone anziane o con particolari disagi fisici e/o motori. In qualche caso, i giudici si spingono addirittura a consentire i lavori a favore non direttamente delle persone che ne hanno diritto, ma ai familiari presso i quali le persone anziani o disabili si recano in visita con una certa frequenza. Quindi un concetto di disabilità o disagio piuttosto ampio. Purtroppo è anche il segno che, a volte, se la «socialità» non viene imposta, non viene fatta.

Le pronunce amministrative
Su questa linea si è espresso anche il Consiglio di Stato, che è intervenuto ritenendo ammissibile l'esecuzione dei lavori di eliminazione delle barriere in edifici situati nei centri storici e/o in edifici vincolati, ovviamente a condizione che non si comprometta la stabilità dell'immobile o se ne deturpi in modo inaccettabile l'estetica. Le varie sentenze succedutesi in trent'anni hanno di fatto “codificato” quelle che sono le barriere cui si riferisce la legge 13:
•Gli ostacoli fisici: di solito fonte di disagi alla mobilità per chiunque, a maggior ragione per le persone anziani o disabili;
•Gli ostacoli che limitano ovvero impediscano a chiunque un comodo o sicuro utilizzo degli spazi esclusivi o comuni;
•La mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettano l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per tutti, a maggior ragione per i non vedenti, gli ipovedenti ed i sordi.

Se si analizzano con attenzione le varie sentenze emesse dopo la legge 13, ci si rende conto del fatto che è ormai pacifico che, in un condominio, i condòmini anziani o disabili hanno spesso notevoli difficoltà a muoversi in un ambito che, in molti casi, è stato costruito in anni passati senza ascensore o con altre forme di limitazione dovute ad una “cultura” poco attenta alle fasce deboli degli utenti. Questo orientamento ha portato i giudici, in linea generale, a considerare conformi al dettato della legge 13 e, quindi, legittime, sia le delibere che approvano i lavori che le installazioni realizzate a cura e spese del condomino, utili anche solo ad attenuare i disagi provocati dalla presenza di barriere architettoniche e ciò quand'anche la delibera o i lavori siano in violazione del regolamento di condominio.

Gli unici limiti ai lavori di adeguamento
Nei fatti un intervento «integrativo e sostitutivo» della magistratura al punto che, in alcuni casi, si arriva a ritenere legittimo, pur se entro determinati limiti, l'intervento in deroga alle norme sulle distanze previste nei regolamenti edilizi (ma a patto che non si violi il dettato del Codice civile). L'unico vero limite riconosciuto da più o meno tutte le sentenze è rappresentato dalla necessità di rispettare la sicurezza e la salubrità del condominio ovvero di tutelarne il decoro architettonico in caso di lavori eccessivamente deturpanti. Questo perché la tutela così apprestata mira ad evitare una possibile diminuzione del valore dell'immobile, causato dalla variazioni estetiche conseguenti ai lavori.

Le pronunce della Suprema corte
Le sentenze della Cassazione hanno poi costantemente introdotto in questi anni un importante elemento di valutazione: la verifica della legittimità dell'intervento deve necessariamente tenere conto del «principio di solidarietà condominiale», con conseguente contemperamento di vari interessi, spesso divergenti, ma con preminenza (salvi i casi visti sopra) di quelli delle persone anziane o disabili ad eliminare le barriere architettoniche. Questo perché la tutela riguarda non un «capriccio», un intervento inutile o voluttuario, bensì un diritto fondamentale della persona «disagiata» a poter fruire o fruire con maggiore comodità del proprio immobile quale bene primario riconosciuto dalla Costituzione (cosiddetto diritto alla casa).

Il quorum previsto dalla riforma del condominio
Da un punto di vista che possiamo definire, invece, di «moralità giuridica» il legislatore con la legge 13 ha voluto sancire un vero e proprio «diritto naturale» a che un edificio debba essere non solo accessibile, ma anche vivibile per tutti, così da consentire anche alle persone anziane o disabili una normale vita di relazione. Da un punto di vista più tecnico occorre sottolineare come, purtroppo, la legge di riforma del condominio - entrata in vigore del 2012 - ha in parte fatto marcia indietro rispetto alla legge 13, prevedendo la necessità che per la delibera di approvazione dei lavori (a carico di tutto il condominio) sia necessaria la metà del valore dell'edificio, quando prima, invece, ne bastava un terzo. Va detto, però, che le sentenze dei tribunali italiani hanno spesso «diluito» questo limite, valutando i casi in ambiti più ampi e socialmente rilevanti.

Nel caso, purtroppo ricorrente, in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto dall'avente diritto, le deliberazioni volte all'installazione dell'ascensore, le persone anziane o disabili, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage. Lo stesso principio è seguito nel caso di installazione dell'ascensore anche se, per il tipo di lavoro, vi è qualche evidente differenza sia dal punto di vista economico che dal punto di vista giuridico.

L’installazione dell’ascensore
Di base l'ascensore è e rimane un bene comune, al pari delle scale, con la conseguenza che se la maggioranza qualificata dei condomini approva l'intervento, la delibera ha l'effetto di obbligare anche i condomini dissenzienti a partecipare alla ripartizione della spesa in base alla propria quota millesimale. Sempre fatto salvo il loro diritto d'impugnare la delibera nei termini di legge (30 giorni). Nel caso in cui, invece, non deliberi o deliberi in senso contrario, l'assemblea non ha alcun potere di opporsi alla realizzazione dell'impianto di ascensore se vi provvede il condomino interessato a proprie spese.

Una delibera che tenti di impedire l'esecuzione dei lavori sarebbe invece radicalmente nulla in quanto l'oggetto della stessa non sarebbe rientrante nelle competenze dell'assemblea, stante la deroga espressa introdotta dalla legge 13. Se è vero che, in casi simili, l'ascensore non diventa un bene comune ma appartiene in via esclusiva al condòmino o ai condòmini che l'hanno realizzato e pagato (anche se poi altri possono aderire successivamente versando la propria quota millesimale della spesa), è utile evidenziare come alcune recenti sentenze hanno stabilito che l'impianto di ascensore che sia finalizzato ad eliminare una barriera architettonica deve essere annoverato fra i lavori indispensabili per l'effettiva abitabilità dell'appartamento e, di conseguenza, ove il condominio non approvi l'intervento, vi potrà sempre provvedere il condomino interessato, con assunzione integrale su di sé delle spese e con l'unico limite dell'uso delle parti comuni nel rispetto della legge, della sicurezza e del decoro come visto sopra.

Considerazioni finali
In una di queste sentenze, il giudice di Novara nel gennaio 2019 ha introdotto un «punto fermo», che è quello che l'impianto sia indispensabile al godimento del proprio appartamento. Quindi, in pratica, che non vi siano valide alternative (nel caso trattato a Novara la Ctu aveva accertato l'impossibilità di realizzare un servoscala).

In conclusione, appare chiaro come non sia bastata una legge a risolvere le innumerevoli dispute fra chi, pur di non pagare qualcosa, sarebbe disposto ad accettare che un disabile o un anziano restino segregati in casa. Se poi pensiamo ai molti edifici anteriori alla fine degli anni ottanta del novecento, si può capire come molti siano ancora gli adeguamenti da fare e ancor di più i possibili contenziosi. In un contesto che, a volte, denota una vera e propria «miseria e squallore morale», vien da dire «meno male che la magistratura ci mette una pezza», altrimenti l'intero impianto della legge 13 sarebbe ancora oggi «lettera morta».

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