Condominio

Il Comune è tenuto a risarcire il danno da movida

Liquidati 42mila euro a persona per i forti rumori e schiamazzi protrattisi per 7 anni

di Eugenia Parisi

Un considerevole numero di soggetti, abitante in un quartiere noto per la cosiddetta movida notturna, ha chiamato in causa il Comune di residenza per essere risarcito dei danni provocati dagli effetti del rumore provocato da tale fenomeno ed il Tribunale di Torino, sulla scia di quello di Como nel 2019 , ha accolto la richiesta con sentenza numero 1261/2021.

La situazione di fatto
Il quartiere di residenza dei ricorrenti era, infatti, diventato la principale zona di svago e di divertimento notturno della città con aperture di ristoranti, wine e cocktail bar, enoteche, street food, minimarket con asporto, ai quali si erano aggiunti numerosi venditori ambulanti. I dehors avevano gradualmente occupato interi marciapiedi estendendosi alle strade: l'afflusso di persone, aumentato nelle ore notturne, congestionava le strade; i marciapiedi, i portoni e le auto parcheggiate venivano imbrattati e i protagonisti della movida urlavano, sporcavano i muri, facevano esplodere fuochi d'artificio, insultavano i passanti, colpivano le auto che tentano di farsi strada,suonando i campanelli dei palazzi a tutte le ore. La gente si assembrava, anche sollecitata dagli appuntamenti diffusi sui social media ed il chiasso di ciascun locale si sommava così al rumore di fondo, in un fenomeno d'insieme travalicante le singole fonti di disturbo.

La classificazione acustica
Il piano di classificazione acustica assegnava ad alcuni isolati del quartiere la classe III (aree di tipo misto, con un limite assoluto di immissione rumorosa pari a 50dB(A)) e a pochi altri la classe IV (aree di intensa attività umana, con il limite di 55dB(A)). Negli anni, l'Arpa e la Polizia municipale avevano individuato venti locali dove i limiti di immissione sonora erano superati con eccedenze comprese tra 13 e 19,5 dB(A); le punte massime (da 65 a 74 dB)A)) si registravano tra la mezzanotte e le due del mattino e tutte le relazioni erano state inviate al Comune, peraltro già al corrente della situazione per via dei numerosi esposti dei residenti.

Il quadro normativo
I ricorrenti richiamavano, a questo punto, i diritti costituzionali: alla salute, all'inviolabilità del domicilio, al godimento della proprietà, appellandosi all'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; riportavano inoltre le linee guida sul rumore notturno pubblicate dall'Organizzazione mondiale della sanità, che, illustrando le conseguenze dell'esposizione al rumore, fissano in 40dB la soglia da rispettare durante le ore destinate al sonno, aggiungendo che, in ogni caso, neppure per brevi periodi possono essere superati i 55dB.

La direttiva 2002/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 giugno 2002 è stata recepita dall'Italia, da ultimo con il Dlgs 42 del 17 febbraio 2017 mentre la legge 447 del 1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico) attribuisce alla competenza dei Comuni la classificazione in zone del loro territorio, l'adozione di piani di risanamento e il controllo del rispetto della normativa all'atto del rilascio di licenze e autorizzazioni all'esercizio di attività produttive. La legge regionale numero 52 del 20 ottobre 2000 ha confermato tali competenze dei comuni.

La competenza del Tribunale ordinario
Il Comune è tenuto a rispettare, come ogni proprietario di un fondo, l'articolo 844 del Codice civile, che vieta le immissioni, nei fondi vicini, di rumori che superino la normale tollerabilità. La responsabilità si estende alle immissioni provocate da terzi e i ricorrenti meritano tutti questa tutela, perché sono o proprietari delle abitazioni in cui risiedono o detentori qualificati.

Sussiste la giurisdizione del Tribunale ordinario, perché la domanda non investe scelte e atti autoritativi, ma, oltre al risarcimento dei danni, attività soggette al rispetto del principio del neminem laedere (non offendere nessuno), con conseguente richiesta di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalle immissioni rumorose illecite, indipendentemente dalla prova di un pregiudizio alla salute in punto di compromissione del riposo, della serenità, dell'equilibrio mentale, della vivibilità dell'abitazione che sono tutti beni messi a repentaglio dal comportamento, quanto meno omissivo, del Comune.

I precedenti di legittimità
La corte di Cassazione, sezioni Unite, del resto, nella recentissima ordinanza 21993 del 12 ottobre 2020, ha deciso che «In tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica amministrazione a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali o non patrimoniali, patiti, atteso che l'inosservanza, da parte della Pubblica amministrazione, delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e di prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna a un «fare», tale domanda non investendo scelte e atti amministrativi della Pubblica amministrazione, ma un'attività soggetta al principio del neminem laedere».

La controversia in esame apparteneva, quindi, alla giurisdizione ordinaria in quanto si chiedeva l'adozione, da parte del Comune, di tutte le misure adeguate al contenimento della rumorosità nel quartiere, tutti atti illeciti riconducibili alla norma generale di cui all'articolo 2043 Codice civile; legittimato all'azione è anche il titolare di un diritto personale di godimento sul fondo e, quindi, anche i ricorrenti che erano titolari di un contratto di locazione. Infine, il Comune è stato convenuto in giudizio per aver intrapreso una politica sbagliata di gestione del territorio, per aver adottato provvedimenti privi di efficacia contenitiva dei rumori e per aver omesso di vigilare sul quartiere: la legittimazione passiva, dunque, sussiste, e non va confusa con la fondatezza, nel merito, dei titoli di responsabilità.

La perizia fonometrica
La consulenza tecnica, resasi necessaria perché il Comune aveva evidenziato l'insufficienza delle relazioni dell'Arpa e della perizia fonometrica prodotta dai ricorrenti, ha completato il quadro con la misurazione dei rumori nei singoli alloggi, concludendo che «il limite differenziale notturno, all'interno delle abitazioni degli attori a finestre aperte, risulta sempre superato. Tale superamento è ratificato dalla tre condizioni di valutazione adottate per valorizzare il differenziale; la statistica relativa alle classi di superamento del differenziale in funzione della condizione di valutazione, dimostra che: le due condizioni di valutazione che prendono in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore residuo (A e B) indicano che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 15-19dB(A); la condizione di valutazione che prende in esame la differenza tra rumore ambientale e rumore di fondo (D) indica che la maggior parte dei superamenti del limite differenziale notturno si concentra nella classe 25-29dB(A)».

«Tali superamenti evidenziano l'elevata criticità dello stato acustico interno alle abitazioni degli attori … nei giorni di venerdì e sabato, giorni nei quali sono stati eseguiti i rilievi del rumore ambientale e si manifesta in modo più marcato il fenomeno acustico esaminato; la soglia di tollerabilità, indicata in 3 dB(A), è sempre superata all'interno di tutte le abitazioni degli attori a finestre aperte». Riguardo alle cause dell'inquinamento acustico, si leggeva, poi, dalle conclusioni della perizia, che era sempre e soltanto la cosiddetta movida a generare, oltre al rumore, tutti i pregiudizi segnalati.

Il nesso causale tra movida e danno lamentato
Si doveva, quindi, stabilire se davvero il Comune avesse posto in essere tutto quanto era in suo potere per ricondurre le immissioni rumorose entro i limiti previsti e, in generale, per evitare o contenere gli altri effetti nocivi della movida. Il nesso causale tra i danni patiti dai ricorrenti e le azioni o le omissioni del Comune doveva, dunque, essere ricercato secondo la norma generale dell'articolo 2043 Codice civile. La legge 447 del 26 ottobre 1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico), del resto, individua, all'articolo 6, le specifiche competenze dei Comuni dove vengono in rilievo, tra l'altro, l'adozione di regolamenti per l'attuazione della disciplina statale e regionale e i piani di risanamento acustico; si prevede, inoltre, l'adozione di ordinanze contingibili e urgenti per il ricorso temporaneo a forme di contenimento e di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibizione totale o parziale di determinate attività.

Tuttavia i provvedimenti emanati dal Comune avevano avuto un successo al più limitato e provvisorio e, comunque, si erano palesati del tutto insufficienti per ricondurre la rumorosità del quartiere entro i limiti di legge e lo stesso Comune affermava che tutto quanto avveniva sfuggiva alla possibilità di ulteriori interventi. L'eccessivo affollamento del quartiere, con tutte le conseguenze negative, non era casuale, ma dipendeva dalla concentrazione, in quell'area, di un numero eccessivo di esercizi commerciali e tutto ciò che si voleva evitare continuava a riprodursi da anni, senza sensibili miglioramenti con l'ovvia deduzione che i provvedimenti del Comune a carico di questo universo commerciale erano stati del tutto insufficienti per responsabilità del Comune, cui conseguiva l'obbligo del risarcimento dei danni.

Il risarcimento dei danni
Che i ricorrenti fossero stati lesi nel loro diritto al riposo, al sonno, al tranquillo svolgimento delle normali attività e al godimento dell'habitat domestico e di quartiere non aveva richiesto particolari dimostrazioni. Rumori dell'entità di quelli accertati impediscono, infatti, di dormire, generando una situazione di stanchezza cronica che pregiudica il lavoro, le incombenze imposte dalla quotidianità, lo svago e le relazioni sociali. La perdurante difficoltà di accedere alla propria abitazione, sia a piedi sia in auto, correndo di continuo il rischio di essere insultati, derubati, danneggiati nelle proprie cose, genera stress e ansia.

Trovare le vie e le piazze di ogni giorno imbrattate e invase da rifiuti provoca una rabbia costante e impotente ed infatti riguardo al «pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita» le sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che «va data continuità all'indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, t rattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi» (Cassazione, sezioni Unite, 2611/2017, ribadita da Cassazione numeri 10861/2018, 21504/2018 e 21544/2018).

L’ammontare del danno liquidato
Tale peculiare danno di carattere non patrimoniale non poteva che essere valutato con criterio equitativo, ai sensi dell'articolo 1226 Codice civile, non potendo essere provato nel suo preciso ammontare e non si riteneva l'esistenza di fatti colposi dei ricorrenti che avessero concorso nella produzione del danno, sicché non è applicabile l'articolo 1227 Codice civile.Il periodo da considerare era dall'anno 2013 (primo accesso dell'Arpa) al 9 marzo 2020, data del Dpcm che, a partire dal giorno successivo, aveva disposto il primo cosiddetto lockdown: si può quindi affermare che, almeno per la durata di sette anni, gli effetti della movida sono stati innegabili, apparendo equo liquidare, per ciascun anno, l'importo di euro 6.000,00, pari a euro 500,00 al mese: in tutto, euro 42.000,00 a persona, salvo alcune situazioni personali peculiari di trasferimento dal luogo, oltre interessi legali sono dovuti dalla data della sentenza al saldo.

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