Condominio

È reato interrompere la fornitura idrica del vicino per allontanarlo dall'abitazione occupata abusivamente

Nel caso in esame non si rilevavano veri e propri atti persecutori ai suoi danni ma un eventuale esercizio arbitrario delle proprie ragioni

di Luana Tagliolini

Un soggetto veniva accusato dei reati di cui all'articolo 612-bis Codice penale («Atti persecutori») «perché con condotte reiterate di molestia, con cadenza quotidiana interrompeva la fornitura idrica del fratello, manomettendo il sistema di fornitura mediante chiusura anche forzata dell'impianto, lavori non autorizzati sulle tubature, così da ingenerare nella persona offesa timore per l'incolumità della propria famiglia e della moglie (malata oncologica e bisognevole di acqua ininterrottamente), ed altresì alzando senza controllo durante la mattina ogni giorno il volume della musica …».

Il Tribunale, ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, la corretta qualificazione dei fatti e la sussistenza delle esigenze cautelari, applicava la misura cautelare del divieto di avvicinamento all'abitazione della persona offesa, con l'obbligo di mantenere una distanza minima di 10 metri dalla stessa e dalle sue pertinenze, compreso il luogo in cui era posizionato il contatore dell'acqua.

Il ricorso alla Suprema corte
Contro tale misura ricorre l'indagato in Cassazione precisando, tra l'altro, che con tali condotte egli voleva solamente allontanare la persona offesa in quanto occupante abusiva della propria abitazione. A suo dire, quindi, non sussisterebbe il reato di atti persecutori ma bensì, al fine di esercitare il proprio diritto (il distacco idrico del condomino moroso) pur potendo ricorrere al giudice, quello di «esercizio arbitrario delle proprie ragioni» (articolo 392 Codice penale).

La decisione
La Cassazione con la sentenza 1541/2021 ha ritenuto non sufficienti gli indizi per ritenere integrato il reato di atti persecutori. Spiegava che, pur avendo la persona offesa denunciato una situazione di disagio suo e della sua famiglia a seguito della condotta del fratello, nell'ordinanza impugnata non erano stati chiaramente individuati gli elementi afferenti alla consistente alterazione delle abitudini di vita della persona o ffesa e della sua famiglia avendo il Tribunale fatto un generico riferimento ai disagi plurimi (interventi dell'indagato sull'impianto idrico, il posizionamento di una telecamera e le immissioni sonore provenienti non di rado dall'abitazione dell'indagato).

In pratica, nella situazione di disagio e di fastidio nelle occupazioni della vita quotidiana non si colgono i profili della «alterazione delle abitudini» che contraddistinguono gli atti persecutori di cui al reato 612 Codice penale.Per quanto riguarda, poi, il reato sostenuto dall'indagato (esercizio arbitrario delle proprie ragioni) la Corte ne affidava l'accertamento al Tribunale del rinvio al quale sottoponeva un novo esame dei fatti e annullava l'ordinanza contenente la misura cautelare non sussistendo indizi per i quali supporre che l'indagato volesse avere un contatto fisico con la persona offesa né ce ne era stato ed essendo, pertanto, irrilevante individuare i luoghi di abituale frequentazione della vittima.

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