Condominio

Solo al possesso ventennale consegue l’usucapione che non ricorre se del bene si ha la detenzione

Nel caso in esame il bene era di proprietà demaniale ed era in uso ad un dipendente statale che vi aveva apportato numerosi cambiamenti

di Va.S.

Detenere un immobile per motivi professionali e rivendicarne la proprietà. In sintesi, è quanto è stato esaminato dalla Cassazione nella sentenza 1611 del 2021, nella quale l'oggetto del contendere era un alloggio di servizio concesso, dalla Regione, ad un suo dipendente operante come sorvegliante idraulico. L'attore conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, l'ente suo datore di lavoro, deducendo di aver posseduto, pubblicamente e pacificamente, come proprietario, il piccolo fabbricato con annesso giardino, e di avervi apportato lavori di ristrutturazione, ampliamento ed ammodernamento fin dal 1965. L'attore chiedeva la dichiarazione di avvenuto acquisto, per usucapione, dell'immobile e la condanna dell'ente al pagamento dell'indennizzo previsto dagli articoli 936 Codice civile o 2041 Codice civile.

Le pronunce di merito
Il Tribunale rigettava tali domande, ritenendo che l'attore non avesse provato la sdemanializzazione degli immobili detenuti in mancanza di un possesso idoneo all'usucapione, rigettando anche la domanda di indennizzo in quanto le opere realizzate erano da ritenersi abusive, senza alcuna utilità da parte della Regione. Una sentenza confermata dalla Corte di secondo grado che giudicava inammissibile ed infondato l'appello proposto dall'attore.

Il Giudice escludeva l'usucapione in quanto l'immobile era solo detenuto dall'attore il quale, pur lamentando la non appartenenza del bene al demanio statale od al patrimonio regionale, non aveva chiarito quale fosse la loro destinazione ed utilizzo. Non solo, ma il Tribunale respingeva anche le richieste di indennizzo, non essendo tali opere realizzate da un terzo svincolato dal proprietario del suolo e da alcun rapporto giuridico, come previsto dall'articolo 936 del Codice civile, e prive, oltretutto, di alcuna utilità da parte della Regione.

Il ricorso alla Suprema corte
Ricorrendo in Cassazione, gli ermellini rigettavano i tre motivi posti in essere dall'attore il quale, nel primo, censurava che, nella sentenza impugnata, la corte d'appello avrebbe dovuto provare non l'appartenenza del bene al patrimonio disponibile della Regione ma la sua demanialità. Una condizione, quest'ultima, impeditiva dell'accoglimento della domanda di usucapione che doveva essere fatta valere dalla parte interessata a negare l'usucapibilità del bene - e non rivelata d'ufficio dal giudice - dimostrata da chi l'avesse eccepita.

L'appellante aveva provato la cessazione della qualità di sorvegliante idraulico e la dismissione del casello di bonifica – motivo per cui era venuto meno il titolo della detenzione - ed aveva evidenziato che la Regione aveva espressamente ammesso di aver attivato la procedura per l'alienazione degli immobili dal patrimonio disponibile e di aver compulsato il ricorrente. Un motivo ritenuto infondato dalla Suprema corte per la quale è risultato evidente che la statuizione con la quale il Tribunale ha ritenuto che l'attore avesse esercitato solo la detenzione e non anche il possesso degli immobili dei quali pretendeva di avere acquisito la proprietà per effetto dell'usucapione ventennale, era, di per sé, tale che, dove non impugnata con la dovuta specificità nell'atto d'appello, si determinasse, inevitabilmente, il rigetto della domanda.

I rapporti che legano il proprietario del bene al terzo
Infondato anche il secondo motivo di ricorso nel quale il ricorrente aveva evidenziato che, ai fini previsti dall'articolo 936 Codice civile, non tutti i rapporti che legano il proprietario del suolo a colui che esegue l'opera possono far negare a quest'ultimo la qualità di terzo ma solo quelli strettamente inerenti all'esecuzione dell'opera. Per la Corte, l'articolo richiamato trova applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo.

Una disciplina che mira a regolare gli effetti patrimoniali che conseguono ad un'attività di costruzione su suolo altrui ad opera di chi o non sia vincolato al proprietario dell'immobile da alcun rapporto negoziale ma solo in ragione di un rapporto giuridico che non comporti una specifica disciplina della realizzazione dell'opera. Come per i primi due, gli ermellini giudicavano infondato anche il terzo motivo di ricorso nel quale il ricorrente considerava che, ai fini dell'accoglimento di una domanda di indebito arricchimento, il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione dell'utilità dell'opera può essere anche implicito.

Le migliorie del bene e la loro utilità
In realtà, tale azione presuppone non solo il fatto materiale della esecuzione dell'opera o della prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma anche il riconoscimento, da parte di questo, della loro utilità che può essere esplicito e formale attraverso una dichiarazione di scienza, espressamente ricognitiva della utilità della prestazione acquisita, secondo un rapporto di adeguatezza e coerenza tra utilità riconosciuta e pubblica finalità, ovvero implicito e consistere in una concreta utilizzazione della cosa o prestazione secondo una destinazione oggettivamente rilevabile ed equivalente, nel risultato, a un esplicito riconoscimento di utilità (Cassazione 1884 del 2002).

Un giudizio riservato esclusivamente alla pubblica amministrazione e non al giudice che può solo accertare se ed in che misura l'opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate. Rigettando il ricorso, la Cassazione ha condannato il ricorrente a rimborsare alla Regione le spese di lite, liquidate in euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali.

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