Condominio

Legittimo il regolamento di condominio, richiamato nel rogito, che vieta il bed and breakfast

Il divieto di esercitare l'attività industriale o commerciale , contenuto nel contratto di vendita del terreno oggetto di frazionamento, grava sul bene indipendentemente dal soggetto che esercita tale attività.

di Giulio Benedetti


L'attività di bed and breakfast nel condominio è stata oggetto di numerose sentenze in cui si è discusso se il regolamento contrattuale può vietare tale attività: tuttavia anche il rogito notarile può costituire un limite all'attività imprenditoriale esercitata all'interno di una privata abitazione . La giurisprudenza è divisa sui limiti che il regolamento condominiale può apportare all'attività imprenditoriale, svolta all'interno degli appartamenti del condominio, e se sia sufficiente l'inserimento del divieto nell'atto contrattuale all'interno del rogito notarile della prima vendita, regolarmente trascritto , o se il predetto divieto debba essere trascritto in tutti gli atti di acquisto e costituisca una servitù reale.

Il caso trattato
La Corte di Cassazione ( sentenza 524/2021 ) ha respinto il ricorso di due proprietari di una villa, in cui esercitavano l'attività di ristorazione e di intrattenimenti danzanti, avverso la sentenza della Corte di appello che li condannava a cessarla.

La vicenda riguardava l'atto di citazione due vicini che chiedevano al Tribunale di inibire detta attività, in quanto era stata esercitata in assenza delle autorizzazioni amministrative .

Inoltre gli attori affermavano che l‘attività era vietata poiché l'originario atto di compravendita dell'immobile imponeva il divieto di destinarlo ad attività industriali o commerciali , nel rispetto della destinazione urbanistica della zona ad attività agricola o residenziale, e perché cagionava disturbo per emissione di rumori molesti , oltre i limiti di tollerabilità.

Il Tribunale rigettava la domanda in quanto affermava che nei confronti delle predette attività , pur essendo state condotte in mancanze delle autorizzazioni amministrative , e quindi che erano passibili delle relative sanzioni, il giudice non aveva il potere di ordinarne la cessazione o la sospensione.

Di contrario avviso era la Corte di appello che riformava la sentenza del Tribunale e accoglieva la domanda degli attori, ordinando la cessazione dell'attività, poiché affermava che l‘attività dei convenuti era imprenditoriale ed era espressamente vietata dalle clausole contrattuali del primo atto di acquisto dell'immobile. Per la Corte di appello l'atto , regolarmente trascritto nei registi immobiliari, era opponibile agli attori , poiché i proprietari originari dei fondi avevano costituito un vincolo reale , del tipo di servitù prediale, circa la loro destinazione al soddisfacimento di esigenze condivise.

La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione condivide l'assunto del giudice di appello ed afferma che il divieto di esercitare l'attività industriale o commerciale , contenuto nel contratto di vendita del terreno oggetto di frazionamento, grava sul bene indipendentemente dal soggetto che esercita tale attività.

Inoltre il giudice di legittimità sostiene che le pattuizioni di tale contratto , con i quali gli originari proprietari avevano ceduto il terreno, hanno natura reale e quindi rivestono carattere vincolante per tutti i successivi aventi causa , anche se i rispettivi atti di acquisto non ne fanno menzione. , poiché il contratto è stato trascritto ed ha creato il vincolo reale sul bene.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione sostiene che , quando il proprietario di un terreno intenda frazionarlo e di venderlo a scopo edificatorio, la pattuizione nei contratti di compravendita delle limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene , se regolarmente trascritte, costituiscono una servitù prediale reciproca a non tollerare modificazioni delle aree individuate in proprietà alle singole unità immobiliari. Da tale principio si desume che i divieti alle attività imprenditoriali, previste dal regolamento condominiale, trascritto nel registro degli atti immobiliari, hanno valore nei confronti di tutti gli acquirenti successivi.

La Corte di Cassazione (sentenza 10169/2018) sostiene che per la costituzione di una servitù prediale non si richiede l'uso di formule sacramentali, ma basta che dall'atto scritto si desuma la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo, mediante l'imposizione di un peso o di una limitazione su di un altro fondo appartenente ad un altro proprietario , sempre che l'atto abbia natura contrattuale , abbia la forma stabilita dalla legge , che da esso la volontà delle parti di costituire una servitù risulti in modo inequivoco.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©