Condominio

Schiamazzi in villa vietati nell’atto originario di vendita: accolto il ricorso dei proprietari adiacenti

L’ attività di organizzazione feste, vietata in base alle clausole contrattuali, si estende ai successivi acquirenti

di Va. S.

Uno dei fastidi maggiormente lamentati, all'interno dell'universo condominiale, è quello degli schiamazzi notturni. Attività commerciali, bar ed altre fonti di rumore sono legittimati nell'operare rispettando l'altrui diritto alla quiete. Ma cosa succede se il rumore avviene in assenza delle autorizzazioni amministrative necessarie per l'esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande?

La vicenda
Una risposta ci arriva dalla sentenza 524 del 2012, con la quale la Cassazione ha affrontato una vicenda originata dalla chiamata in giudizio, da parte di un nutrito numero di condòmini, di due attori chiedendone la condanna al risarcimento danni in quanto, in violazione di norme contrattuali e urbanistiche, avevano organizzato e svolto nella loro villa, contigua alle abitazioni degli attori, intrattenimenti e banchetti in assenza delle necessarie autorizzazioni, causando disturbo per l'emissione di rumori molesti, passaggio di mezzi e presenza di persone oltre i limiti di tollerabilità.

Il tutto contravvenendo all'articolo 9 dell'atto pubblico di compravendita dei lotti di terreno sui quali erano edificate le ville, che imponeva il divieto per gli stessi acquirenti di destinare l'immobile ad attività industriali o commerciali, nel rispetto della destinazione urbanistica della zona ad attività agricola e residenziale.I condòmini chiedevano la cessazione dell'uso illegittimo della villa con condanna degli attori al risarcimento dei danni per diminuzione del valore commerciale degli immobili. Costituendosi, i convenuti proponevano una domanda riconvenzionale di risarcimento danni per forti perdite economiche, con ripercussioni sullo stato di salute, conseguenza della condotta ostruzionistica degli attori. Entrambe le domande venivano rigettate dal Tribunale di Tivoli.

Le decisioni di merito
Per la principale, pur ritenendo irregolare l'attività amministrativa svolta all'interno della villa, dichiarava l'impossibilità di ordinare la cessazione o sospensione dell'attività perché alla situazione di illegittimità conseguivano le sanzioni previste dagli articoli 10 legge numero 287/91 e 17 ter del Testo unico di Pubblica sicurezza. Lo stesso Tribunale riteneva, inoltre, che la disposizione contrattuale che vietava lo svolgimento di attività industriale o commerciale non avesse natura reale ma esclusivamente personale legato ad un accordo stipulato precedentemente tra i soggetti.

La Corte di secondo grado, sulla proposta di appello dei convenuti, affermava che l'attività svolta doveva considerarsi di natura imprenditoriale ed esercitata sistematicamente con organizzazione di beni e servizi, secondo i criteri di cui all’articolo 2082 Codice civile. Una attività da ritenersi vietata in base alle clausole contrattuali del primo atto di vendita, da parte dell'unico originario proprietario. Un vincolo da estendersi anche ai successivi acquirenti.Gli attori proponevano, perciò, contro tale sentenza, ricorso in Cassazione sulla base di quattro motivi.

I motivi del ricorso alla Suprema corte e la decisione
A parere dei ricorrenti, nel primo motivo, sarebbe erronea la qualificazione di carattere imprenditoriale attribuita all'attività svolta all'interno della villa, essendosi limitati a concedere in uso a terzi una parte dell'immobile per feste e ricevimenti non svolgendo alcuna attività di tipo imprenditoriale in proprio. Motivo infondato in quanto il divieto di esercitare attività industriale o commerciale posto dall'articolo 9 del contratto di vendita del terreno oggetto di frazionamento grava sul bene indipendentemente dal soggetto che materialmente esercita tale attività. Ne consegue che è del tutto irrilevante stabilire se l'attività relativa allo svolgimento di banchetti e feste sia gestita direttamente dai ricorrenti o da terzi, e se, in tale seconda ipotesi, la stessa debba qualificarsi come attività commerciale svolta in forma imprenditoriale.

Nel secondo motivo, i ricorrenti sostenevano che quanto stabilito dall'originario contratto non aveva natura reale ma solo personale ed eventuali pattuizioni previste anche se a carattere reale, dovevano ritenersi estinte per non uso, tanto da non essere inserite negli atti successivamente trascritti. Motivo infondato per gli ermellini che hanno chiarito come la Corte d'Appello avesse ritenuto che l'atto regolarmente trascritto vincoli all'osservanza delle disposizioni in esso contenute anche i successivi acquirenti, avendo i proprietari originari dei fondi costituito per accordo negoziale unanime un vincolo di natura reale, tipo servitù, circa la destinazione dei fondi stessi al soddisfacimento di legittime esigenze da tutti condivise, con la previsione funzionale del divieto di mutare l'uso residenziale dei terreni e di non svolgervi attività industriale o commerciale.

Inammissibile anche il terzo motivo di ricorso secondo il quale l'articolo 8 della legge 765 del 1967 vieterebbe di procedere alla lottizzazione di terreni a scopo ed ilizio prima dell'approvazione del piano regolatore generale del programma di fabbricazione. Non essendo stata rilasciata dal Comune alcuna autorizzazione, tale assenza comporterebbe la nullità di diritto delle pattuizioni convenute dagli originari proprietari.

Per la Suprema corte, in tema di ricorso per Cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, i ricorrenti devono, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche indicare in quale atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto.Inammissibile infine il quarto motivo di ricorso che, in sostanza, riproponeva la medesima domanda di risarcimento di da nni rigettata nei due gradi di giudizio.La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 5.300,00 oltre ad euro 200,00 per esborsi.

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