Condominio

L’amministratore, anche se non autorizzato, può agire per l’eliminazione dei gravi difetti di costruzione

Si tratta di atto conservativo a tutela delle parti comuni non subordinato al via libera dell'assemblea

di Selene Pascasi

Il fatto che l'amministratore sia autorizzato a compiere gli atti conservativi di diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio non va inteso in modo restrittivo cioè come autorizzazione solo a chiedere misure cautelari. Egli, infatti, può compiere tutti gli atti tesi a conservare l'esistenza delle parti comuni, e l'edificio stesso, compresa l'azione contro l'appaltatore per rimuovere gravi difetti nella costruzione che possono metterne in pericolo la sicurezza. Lo precisa la Corte di appello di Milano con sentenza 926 del 17 aprile 2020.

La vicenda
Apre la controversia la richiesta di alcuni condòmini e del Condominio di ottenere, dalla Srl costruttrice/venditrice, le somme necessarie per rimediare ai vizi e ai difetti costruttivi delle parti comuni e delle unità di proprietà esclusiva ed il risarcimento del danno da mancato godimento dei beni. La società, in via preliminare, eccepisce la carenza di legittimazione dell'amministratore: si era mosso, contesta, senza preventiva delibera dell'assemblea condominiale. E comunque, aggiunge, le richieste formulate si erano prescritte.

Il Tribunale dichiara il difetto di rappresentanza processuale dell'amministratore per aver agito in difetto di preventiva autorizzazione e per non averne le assemblee ratificato l'operato e la questione arriva in appello dove i condòmini incassano l'accoglimento della pretesa. Il primo giudice, spiega la Corte, pur riconducendo l'azione esercitata dall'amministratore alla previsione di cui all'articolo 1669 del Codice civile – per la gravità dei vizi denunciati e poi definitivamente accertati in esito alla consulenza tecnica d'ufficio – ne aveva sancito il difetto del potere di rappresentanza processuale per aver agito senza una preventiva delibera e per non aver l'assemblea ratificato l'operato. Così ragionando, però, aveva escluso che il potere di promuovere un giudizio di merito rientrasse tra le attribuzioni previste in capo all'amministratore dall'articolo 1130 numero 4 del Codice civile. Conclusione errata.

La motivazione della pronuncia
È consolidato, infatti, il principio per cui la disposizione che «autorizza l'amministratore a compiere gli atti conservativi di diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio non va interpretata nel senso restrittivo di autorizzazione a chiedere misure cautelari, in quanto ha riguardo a tutti gli atti diretti a conservare l'esistenza delle parti comuni, e perciò anche dell'edificio stesso, tra i quali rientra l'azione proposta ai sensi dell'articolo 1669 contro l'appaltatore, diretta a rimuovere gravi difetti nella costruzione che possono porre in pericolo la sicurezza dell'edificio».

Un orientamento della giurisprudenza di legittimià, affermato già negli anni '60, più volte richiamato dalla Cassazione più recente che non ha mancato occasione per tornare a ribadire non solo che l'amministratore, pur non previamente autorizzato, può agire per l'eliminazione dei gravi difetti di costruzione idonei a pregiudicare le parti comuni dell'edificio – trattandosi di atto conservativo non subordinato al via libera dell'assemblea – ma anche che tale legittimazione “copre” la proponibilità del procedimento di accertamento tecnico preventivo volto ad «acquisire tempestivamente elementi di fatto sullo stato dei luoghi o sulla condizione e qualità di cose, da utilizzare successivamente nel giudizio di merito introdotto con la domanda ex articolo 1669 citato, posto che tale accertamento è strumentale all'esercizio stesso dell'azione di responsabilità».

Non aveva alcun senso, allora, finire per inoltrarsi sul percorso dell'eventuale efficacia sanante delle delibere assembleari di ratifica delle iniziative giudiziali dell'amministratore, ben potendo anche autonomamente agire per la tutela dello stabile. Queste, le motivate ragioni per le quali viene accolta la domanda proposta dai condòmini contro la venditrice e condannata la Srl a pagare loro circa 131 mila euro pari all'importo dei costi necessari per provvedere ai necessari interventi rimediali.

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