Condominio

La lesione del decoro architettonico va valutata tenendo anche conto dei benefici che porta al singolo

Il singolo otteneva più luce e l’intervento da lui realizzato poteva essere anche replicato, per la Ctu, da altri condomini, con lo stesso obiettivo

di Luca Bridi

Un condominio conveniva in giudizio il proprietario di un appartamento all'ultimo piano dello stabile, allegando che - lungo il prospetto lato sud ovest dell'edificio - la loggia era stata oggetto di un intervento edilizio, mai autorizzato dai condòmini, consistito nella sostituzione della originaria portafinestra con altra di dimensioni doppie rispetto agli infissi precedenti e, quindi, del tutto differente rispetto a quelli di tutti gli altri appartamenti con identico affaccio sulla via.

Tale intervento, che aveva comportato la demolizione di parte della parete esterna condominiale e la realizzazione di un infisso di proporzioni doppie rispetto a quello preesistente, aveva arrecato, secondo il condominio, un deturpamento della facciata e, conseguentemente, la lesione del decoro architettonico ed estetico del fabbricato condominiale, in spregio degli articoli 1120 e 1122 Codice civile.

Le prove presentate
Dall'esame della documentazione e delle fotografie agli atti di causa, definita con sentenza 6616/2020 emessa dal Tribunale di Milano lo scorso 22 ottobre, emergeva effettivamente che i lavori eseguiti dal convenuto fossero consistiti nell'ampliamento di una porta finestra che si trovava all'interno di una loggia parzialmente chiusa da un setto in muratura.

La lesione del decoro e l'autorizzazione assembleare
Il contrasto si era, infatti, incentrato sulla verifica o meno della lesione del decoro architettonico delle predette opere e per il giudice meneghino tali opere non erano da qualificarsi quale innovazione ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1120 Codice civile, rientrando al contrario tra quelle che un condomino può effettuare ai sensi dell'articolo 1102 Codice civile per un migliore uso della cosa comune – nel caso di specie, della facciata dello stabile condominiale - sia pure a condizione che non ne venga alterata la destinazione e che non venga inibito agli altri condòmini di farne pienamente uso secondo il loro rispettivo diritto.

A tal proposito, la sentenza della Cassazione 1554/1997 specifica che «a differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile l'utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea (articolo 1120 comma primo Codice civile) nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'articolo 1102 Codice civile, possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso».

Gli interventi legittimi
«Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato anche all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune».

Sulla base di quanto sopra e tenuto conto dell'accertamento della natura dei lavori posti in essere dal condomino, si poteva quindi ritenere che le opere sulla facciata del condominio, non costituissero innovazioni vietate dalla legge, e che la realizzazione di tali opere rientrasse nei poteri spettanti ai singoli condòmini in base all’articolo 1102 del Codice civile, senza la necessità di richiedere alcuna autorizzazione assembleare che ne abiliti la fattibilità.

Il più intenso utilizzo della facciata da parte del singolo
Del resto, è indubbio che la facciata condominiale possa essere utilizzata, ai fini di un più intenso sfruttamento, dai singoli condòmini mediante la demolizione di parte del muro corrispondente alle proprietà esc lusive per l'apertura e/o l'ampliamento di finestre e di porte, ovviamente nel rispetto del disposto dell'articolo 1102 Codice civile e senza alcun pregiudizio per la stabilità e la sicurezza del fabbricato o per il decoro architettonico del fabbricato.

In caso analogo, la Suprema corte ha affermato che «negli edifici in condominio i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli articoli 1102 e 1122 Codice civile, non pregiudichi la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato»(Cassazione 4314/2002). Ricadendo, pertanto i lavori per cui è causa nell'ambito di operatività dell'articolo 1102, i cui limiti del pari risulta che non fossero stati violati dal convenuto, non è stata ritenuta necessaria, per la realizzazione degli stessi, alcuna autorizzazione condominiale il cui mancato rilascio – al pari dell'evidente diniego manifestato sul punto dai condomini - ad opera del consesso assembleare non ha pertanto determinato nel presente caso l'integrazione di alcuna condotta illegittima a carico del convenuto.

Le risultanze della Ctu ed i dettami della Cassazione
Esclusa l'operatività dell'articolo 1120 Codice civile per costituire i lavori posti in essere dal convenuto un legittimo uso della cosa comune, occorreva verificare, infine, se tali lavori avessero o meno leso il decoro architettonico dell'edificio condominiale; a tal proposito il consulente tecnico d'ufficio aveva concluso affermando che «la porta finestra in oggetto è parzialmente visibile come sono parzialmente visibili le altre porte finestre delle logge sottostanti e l'ampliamento costituisce una modifica, seppur piccola in proporzione alle dimensioni dell'edificio, dell'aspetto architettonico del prospetto fronte strada».

Al riguardo, due erano le questioni sostanzialmente da risolvere: la prima riguardante la nozione di decoro architettonico ed i parametri alla cui stregua individuarne la avvenuta lesione, mentre la seconda attinente l'apparente contraddittorietà della consulenza d'ufficio che pareva aver concluso per l'accertamento delle lamentele prospettate da parte attrice, salvo avere accertato che le opere eseguite dal condomino avessero costituito una modifica “minima” dell'aspetto architettonico dell'edificio, addirittura migliorativa e auspicabilmente replicabile sull'intera colonna.

Il concetto di decoro architettonico
Con riguardo alla prima delle due questioni, occorreva capire se, ai fini della eventuale lesione del decoro architettonico, potessero venire in rilievo o meno anche altri fattori, quali lo stato complessivo del fabbricato od il suo eventuale apprezzamento/deprezzamento economico a seguito della realizzazione degli interventi oggetto di volta in volta di censura. La giurisprudenza più recente (Cassazione 1286/2010) ha sostenuto tra l'altro: che il decoro architettonico, inteso quale estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio imprimendo allo stesso una sua armoniosa fisionomia, va valutato, ai sensi dell'articolo 1120, secondo coma, Codice civile, con riferimento al fabbricato condominiale nella sua totalità (potendo comunque anche interessare singoli punti del fabbricato purché l'immutazione di essi sia suscettibile di riflettersi sull'intero stabile) e non rispetto all'impatto con l'ambiente circostante.

L'alterazione del decoro deve essere apprezzabile, trattandosi di trovare una situazione di equilibrio tra gli interessi contrapposti della comunità dei condomini e del singolo condomino che ha agito nella sua proprietà esclusiva; e l'apprezzabilità dell'alterazione del decoro architettonico deve tradursi in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l'innovazione viene posta in essere; inoltre la mancanza di pregio dello stabile interessato dalle innovazioni non esclude di per sé che possa sussistere un'alterazione apprezzabile del decoro architettonico.

L’intervento che non danneggia il decoro
Applicando i predetti principi al caso in esame, occorre sottolineare come dall'esame sia della consulenza espletata in corso di causa che di tutte le fotografie allegate, emergeva che la facciata condominiale, oltre a non presentare particolare pregio architettonico, era contraddistinta dalla presenza di numerosi motori di condizionatori, nonché di infissi e di tende esterne di spessori, tipologie e colori differenti il cui impatto sull'estetica dell'edificio risultava maggiore rispetto a quello derivante dall'intervento in causa; che la porta finestra ampliata dal convenuto si trovava all'interno di loggia parzialmente chiusa da un setto in muratura, ragione per cui non era così agevolmente visibile dall'esterno e tale da potersi ritenere integrare un'alterazione apprezzabile dell'estetica del fabbricato; che, in ogni caso, la vista della stessa era ostruita in parte dal muro di facciata che chiudeva parzialmente il balcone in parte da due fioriere posizionate a ridosso dei parapetti contenenti una vegetazione alta circa 150 cm da terra con taglio a siepe.

Ne derivava che nella valutazione dell'alterazione del decoro doveva essere trovata una soluzione di equilibrio tra gli interessi contrapposti della comunità dei condomini e del singolo condomino che aveva agito nella sua proprietà esclusiva e se l'apprezzabilità dell'alterazione del decoro architettonico dovesse tradursi in un pregiudizio economico comportante un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese, escludendosi che la realizzazione della porta finestra da parte del convenuto avesse costituito un intervento tale da violare il decoro architettonico dello stabile.

I benefici apportati al singolo
Nell'equo contemperamento tra i due contrapposti interessi, è stato privilegiato l'interesse del condomino a poter beneficiare di maggiore luminosità all'interno del proprio appartamento, essendo ormai noti i riflessi positivi della luce sul benessere psico-fisico dell'individuo, apportando la luce naturale non solo generici benefici alla qualità della vita, ma contribuendo in modo rilevante alla salute umana. A tale esito si era pervenuti soprattutto in considerazione del fatto che tale modifica non era agevolmente visibile dall'esterno, tenuto conto del fatto che la piantumazione riduceva la vista dalla loggia e che la porzione visibile della stessa era minore rispetto alle altre in quanto posta sul piano più alto.

Né tale intervento poteva ritenersi integrare un pregiudizio economico tale da comportare un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese, avendo il consulente, al contrario, affermato che «non è un'ipotesi sconveniente se la stessa cosa venisse replicata anche su tutti i piani delle logge sottostanti ovvero per tutta la colonna, in quanto permetterebbe a tutti i sottostanti condomini di recuperare un po' più di luminosità dentro i loro ambienti conferendo gradevolezza e godibilità dello spazio loggia sul versante interno, forse si aumenterebbe anche il valore dei loro immobili».

La definizione del contenzioso
In definitiva, nonostante il fatto che il consulente si fosse inutilmente soffermato sulla asserita violazione da parte del convenuto del regolamento condominiale – circostanza mai allegata dal condominio attore ed avesse espresso valutazioni non richieste nel quesito - e nonostante, infine, la apparente contraddittorietà nella parte in cui pareva aver concluso per l'accertamento delle lamentele prospettate da parte attrice, salvo avere accertato che le opere eseguite dal condomino avessero costituito una modifica minima dell'aspetto architettonico dell'edificio, addirittura migliorativa e auspicabilmente replicabile sull'intera colonna, il tribunale milanese ha ritenuto che il complessivo intervento oggetto di causa non avesse leso il decoro architettonico nel significato più recentemente definito dalla giurisprudenza della Suprema corte esaminata.

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