Condominio

Teleassemblea a maggioranza per dare sprint al superbonus

di Saverio Fossati

Le assemblee per decidere i lavori del 110% più facili da organizzare, almeno in apparenza (basterà che sia d’accordo la maggioranza dei condòmini). Ma restano numerosi problemi che solo con il buonsenso di condòmini e amministratori si possono risolvere.

Il nodo del 110%

Il problema che sinora Governo e Parlamento hanno voluto eludere o affrontare nasce da un semplice dato sociale: metà degli italiani vive in condominio. Quindi metà del successo del 110%, con il quale il Governo spera di prendere il piccione della rinascita dell’edilizia e la fava del risanamento energetico degli edifici, due obiettivi strategici, è nelle mani di amministratori e condòmini.

Sinora, però, gli interventi realizzati o messi in campo sono poche decine in tutta Italia. Questo perché convocare le assemblee è di fatto quasi impossibile, ma senza una delibera assembleare il meccanismo, molto complesso, non può partire. Non c’è impresa, banca o general contractor che accettino di muoversi senza la delibera.

Assemblea in presenza

La situazione sanitaria ha creato una serie di impedimenti, che tuttavia sono affrontabili a seconda della situazione concreta.

Anzitutto quello della raggiungibilità della sede della riunione. L’ultimo Dpcm, che arriva, lo ricordiamo, dopo la circolare dell’Interno che considerava lecite le assemblee condominiali, consente gli spostamenti solo per lavoro, necessità e salute. Se l’amministratore è quindi legittimato per lavoro, lo sarebbero anche i condòmini per ragioni di «necessità», ma essendo questa espressione estremamente vaga non è affatto escluso che qualche tutore dell’ordine più zelante irroghi una sanzione, contro la quale si dovrebbe poi fare un complicato ricorso. Senza contare che nelle zone rosse non ci si può spostare tra Comuni, quindi sarebbero tagliati fuori tutti i non residenti nel Comune dell’immobile.

Poi ci sono le questioni sanitarie: a quanto risulta, è decisamente difficile trovare sedi che garantiscano sanificazioni prima e dopo, distanziamento delle sedie, disponibilità di gel, ricambio d’aria del locale.

Se quindi un condomino volesse impugnare la delibera avrebbe buon gioco per le oggettive difficoltà a partecipare.

La teleassemblea

Con il voto di mercoledì della Camera è divenuta definitiva la modifica all’articolo 66 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, che entrerà in vigore a giorni, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della legge di conversione del Dl 125/2020. Il testo dell’ultimo comma sarà quindi il seguente: «Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all’assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all’amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione».

Anche a voler trascurare alcuni seri problemi interpretativi (si veda l’altro articolo nella pagina), è evidente che i condòmini schierati contro il 110% o litigiosi per qualche ripicca avranno buon gioco a impugnare la delibera accampando malfunzionamenti informatici. Chi sceglie la teleassemblea “totale”, quindi, deve puntare a un’assoluta garanzia di buon funzionamento della piattaforma, con identificazione di persone, voti e deleghe e un accordo preventivo di tutti almeno informalmente.

La formula mista

La soluzione più praticabile resta in ogni caso quella mista: convocazione tradizionale, invito a restare a casa il più possibile, raccolta di deleghe bene organizzata, e, prima dell’assemblea, da svolgere in un luogo assolutamente sicuro ma dove vengano da uno a tre condòmini, espresso consenso di tutti i presenti sulla legittimità della partecipazione in videoconferenza.

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