Condominio

I divieti regolamentari si giustificano con l'indicazione del pregiudizio che si intende tutelare

Nel caso in esame il regolamento era di natura contrattuale e vietava espressamente di adibire locali ad attività commerciali

di Eugenia Parisi

All'esito del procedimento di primo grado in cui una delibera condominiale era stata dichiarata nulla perché non aveva permesso ad un proprietario di adibire il proprio locale ad attività commerciale, l'amministratore ha proposto ricorso e la vicenda si è di recente conclusa con la pubblicazione della sentenza 2248/2020 emessa dalla terza sezione civile della Corte d'appello di Milano. Esaminiamone gli aspetti più interessanti.

Il valore estensivo delle prescrizioni regolamentari
Secondo il condominio, il proprietario dei locali con affaccio su strada avrebbe chiesto una modifica del vigente regolamento, di natura contrattuale, negatagli dagli altri condomini intervenuti in assemblea, ciò rientrando nei pieni poteri dell'assemblea ai sensi dell'articolo 1137 Codice civile.

Risultava dall'ordine del giorno che il primo punto era, infatti, rubricato come «richiesta di revisione del regolamento condominiale»; il secondo come «discussione relativa alla possibile locazione da parte del fondo della porzione immobiliare a soggetti esercitanti attività commerciale che comporta contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori».Per i giudici d'appello, in primo luogo, il regolamento condominiale conteneva una chiara disposizione per cui poteva ben dirsi vietata l'attività commerciale di vendita al dettaglio al pubblico dei consumatori e la delibera impugnata non era affatto nulla proprio perché interpretava correttamente la portata della predetta disposizione regolamentare.

Tale disposizione era norma convenzionale che applicava il cosiddetto criterio misto, nel senso che individuava le finalità al perseguimento delle quali la predisposizione del divieto è strumentale, elencando alcune attività da ritenersi espressamente vietate, a prescindere dalla concreta sussistenza di elementi tali da far ritenere compromesse le finalità perseguite col divieto di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva: tale duplice criterio di individuazione delle attività vietate comporta che l'elenco delle attività espressamente vietate non è tassativo e che il divieto si estende anche a tutte le destinazioni non espressamente menzionate, comunque idonee a provocare i pregiudizi che si intendono evitare, mentre tutte le attività specificamente indicate sono di per sé vietate, senza necessità di verificare in concreto l'idoneità a recare i pregiudizi suddetti (in argomento, Cassazione 20237/2009).

La verifica concreta sul caso di specie
La previsione regolamentare ha portata precettiva, quanto ad indicazione delle attività vietate, ed ha attitudine individualizzante, occorrendo, perciò, soltanto stabilire in concreto se l'attività leda uno o più dei beni ivi elencati: per il caso di specie, era del tutto evidente ed incontrovertibile che l'attività di vendita al dettaglio al pubblico comportasse di necessità la possibilità di libero accesso, di frequentazione e di permanenza per un lasso di tempo, anche prolungato, in relazione alle esigenze di scelta dei prodotti da acquistare, da parte di una moltitudine a priori indefinibile di persone che, durante tutto il periodo di apertura dell'esercizio al pubblico, poteva produrre inevitabilmente plurimi movimenti in entrata ed in uscita, oltre al comune conversare, secondo ciò che di solito accade nella quotidianità, con ovvia varietà di toni di voce.

Il che si poneva in palese violazione col divieto di produrre rumori o turbare la tranquillità dei condomini della casa, che, letteralmente da regolamento, «si vuole destinata ad uso abitazione civile ed a studi od uffici commerciali e professionali», cioè a destinazioni in cui l'accesso del pubblico non è libero ma regolamentato, a cura dei residenti o dei professionisti ivi allocati. Per contro, la destinazione a supermercato dei locali al pian terreno di immobile ad uso residenziale contrastava con la previsione in parola (così anche Cassazione 5393/1999) con conseguente accoglimento dell'appello proposto dalla compagine condominiale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©