Condominio

Teleassemblea di condominio: unanimità o maggioranza?

La previsione del decreto Agosto è ambigua ed incongruente

di Luigi Salciarini

Ad analizzare le norme che sono state recentemente introdotte riguardo all'assemblea condominiale verrebbe da chiedersi se il legislatore ha consapevolezza dei problemi che crea invece di risolvere. Non si tratta di una critica preconcetta e qualunquista sulla qualità delle leggi, ma della mera constatazione dell'oggettiva incoerenza del testo normativo. Nel concreto, e sorvolando sul “puzzle” che gli operatori sono ogni volta costretti a fare con i vari frammenti di norme sparsi qua e là, la recentissima legge 13 ottobre 2020, numero 126 (di conversione con modificazioni del Dl 104/2020) ha introdotto la possibilità di effettuare le riunioni dell'assemblea di condominio in videoconferenza.

La previsione normativa
La norma (finale) prevede esattamente: a) che l'avviso di convocazione previsto dall'articolo 66 delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile, se la riunione è prevista in modalità di videoconferenza, deve contenere l'indicazione «della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell'ora della stessa; b) che detta modalità può essere utilizzata, anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso di tutti i condomini…».

Se nessun particolare problema scaturisce dal “nuovo” contenuto dell'avviso di convocazione, una palese contraddizione emerge nel caso delle condizioni previste affinché l'assemblea si possa svolgere con modalità telematiche. La norma sembra prevedere due alternative: la previsione nel regolamento o l'assenso totalitario di tutti i partecipanti al condominio. Tuttavia, secondo la regola generale (articolo 1136, comma 2 e articolo 1138 Codice civile) il regolamento condominiale può (e deve) essere approvato con la maggioranza di almeno la metà delle quote millesimali (ed anche con quella degli intervenuti alla riunione) e non certo all'unanimità.

L’incongruenza rilevata
Se dovessimo applicare la norma letteralmente, quindi, ne deriverebbe che la possibilità di effettuare una teleassemblea può essere prevista “a maggioranza” se inserita nel regolamento, e all'unanimità se decisa di volta in volta. L'incongruenza è palese se si considera che la clausola regolamentare ha addirittura un valore “programmatico”, cioè spiega i suoi effetti per tutta la vita dell'edificio e, pertanto, per tutte le future riunioni.

Dal punto di vista sostanziale l'incoerenza del testo di legge risulta in maniera ancora più evidente: infatti, se consideriamo che il valore da tutelare è quello di consentire a tutti i condomini la massima partecipazione possibile alle assemblee (da qui, correttamente, la “nuova” norma prevede il «previo consenso di tutti»), aspetto che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo del singolo comproprietario, non possiamo negare che l'approvazione “a maggioranza” di una norma di regolamento che prevede le assemblee in videoconferenza è in grado di determinare un'oggettiva lesione delle prerogative dei condomini.

Si tratta di una contraddizione che non può certo essere contenuta in un articolo del Codice civile e che, almeno in via interpretativa, deve essere in qualche modo ricomposta. Se così è, l'unico modo sembra essere quello di affermare che anche la clausola del regolamento di condominio che prevede la videoconferenza dev'essere approvata all'unanimità, con ciò confermando il giudizio di sostanziale inefficacia e/o inutilità della “novità” introdotta dalla legge 126/2020.

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