Condominio

Veranda sul balcone, serve il permesso di costruir

La chiusura del balcone determina una variazione planovolumetrica ed architettonica che richiede il titolo abilitativo

di Giuseppe Donato Nuzzo

Una veranda realizzata sulla balconata determina una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale è realizzata e, quindi, è soggetta al previo rilascio di permesso di costruire.

Il principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 5446 del 15 settembre 2020 , in continuità con l'orientamento prevalente in giurisprudenza. Una veranda realizzata sulla balconata d'un appartamento determina una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale è realizzata e, quindi, è soggetta al previo rilascio di permesso di costruire (da ultimo, cfr. Cons. Stato, 20 marzo 2000 n. 1507).

Si tratta, infatti, di strutture fissate in maniera stabile al pavimento che comportano la chiusura di tutto o parte del balcone, con conseguente aumento della volumetria e modifica del prospetto.

Il fatto
La controversia oggetto della sentenza in commento riguardava la realizzazione di: a) una veranda in alluminio anodizzato di colore bronzeo costituente la chiusura di un balcone dell'abitazione; b) la copertura in plexiglass trasparente della scala che dal balcone reca al cortile; c) la copertura della tettoia insistente su parte del cortile stesso, costituita da elementi prefabbricati di lamierini in fiberglass montati su una struttura di sostegno in profilati metallici.

Tutte opere realizzate senza titolo edilizio ed in violazione del vincolo paesaggistico, secondo il Comune, che ne ordinava la demolizione. Provvedimento confermato dal Consiglio di Stato.

Aumento volumetrico
Secondo i giudici amministrativi, non è rilevante la natura dei materiali utilizzati, in quanto la chiusura, pur dove realizzata con pannelli in alluminio o altro materiale leggero, costituisce comunque un aumento volumetrico.

La struttura, quindi, non può esser intesa quale “pertinenza” in senso urbanistico, poiché la veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che si aggrega a un preesistente organismo edilizio, trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie. “Anzi, tal vicenda” – si legge nella sentenza – “ben lungi dall'esser un elemento di scarso rilievo (p.es., per i materiali adoperati o la modestia di superficie occupata), ha un proprio impatto paesaggistico e, come tale, oltre ad esser un intervento ampliativo di ristrutturazione è pure un manufatto edilizio equivalente ai fini della doverosa autorizzazione paesaggistica”. Opere distinte, unico abuso.

Su queste premesse, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretta la valutazione degli uffici comunali che, nella fattispecie, hanno inteso l'unità funzionale dell'abuso, sia pur costituito da tre opere fisicamente diverse, ma non distinte sul piano funzionale. Le tre opere accertate (la veranda, il copriscala e la tettoia a copertura di parte del cortile fino al confine dell'edificio attoreo) vanno dunque considerate come “un corpus unitario e riferito unitariamente all'edificio originario”. E ciò secondo la regola, da tempo affermata in giurisprudenza, secondo cui “l'opera abusiva va identificata con riferimento alla unitarietà dell'immobile di riferimento, ove essa sia stata realizzata in esecuzione di un disegno funzionale unitario, essendo irrilevante la partizione di essa in più elementi tra loro sì diversi, ma connessi”.

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