Condominio

Decreto semplificazioni: nuove norme per l'agibilità

Nel tempo il concetto di agibilità-abitabilità ha subito delle modifiche sostanziali, da ultimo anche con il decreto "Semplificazioni". Di seguito cercheremo di fare il punto della situazione.

di Donato Palombella


Il certificato di agibilità ha la funzione di attestare "la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità" (art. 24, comma 1, Dpr 380/2001). Nel tempo il concetto di agibilità-abitabilità ha subito delle modifiche sostanziali, da ultimo anche con il decreto "Semplificazioni". Di seguito cercheremo di fare il punto della situazione.

Molti immobili sono privi di agibilità
In passato, pur in assenza di una norma precisa, si parlava di abitabilità per le unità immobiliari ad uso residenziale e di agibilità (e, meno frequentemente di usabilità), per quelle ad uso non abitativo. In un caso o nell'altro, le imprese di costruzione raramente si preoccupavano di ottenere la certificazione di abitabilità-agibilità anche quando gli immobili erano perfettamente rispondenti alla normativa; di conseguenza, ancor oggi abbiamo interi complessi immobiliari privi della certificazione sulla (ex) abitabilità anche se risultavano perfettamente legittimi all'epoca della loro realizzazione. Questo vuol dire che gli immobili privi di certificazione non sono necessariamente abusivi. In relazione alla normativa che si è succeduta nel corso degli anni potremmo avere, in linea di massima, almeno tre possibilità:
a) disciplina previgente all'entrata in vigore del T.U. dell'edilizia;
b) disciplina introdotta dal dPR 380/2001;
c) disciplina introdotta dalla "riforma" del DLgs 222/2016.

La disciplina previgente
Originariamente l'articolo 39 del R.D. n. 5849/1888, poi traslato nell'articolo 69 del R.D. n. 636/1907, disponeva "le case di nuova costruzione, od in parte rifatte, non possono essere abitate se non dopo l'autorizzazione del sindaco". L'art. 221 del R.D. n. 1265/1934 (T.U Leggi sanitarie) introduce un primo cambio di rotta prevedendo che l'autorizzazione del Potestà fosse subordinata alla preventiva ispezione dell'Ufficiale sanitario diretta ad accertare l'avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti. Occorre tener presente che nel lontano 1934 non esisteva ancora l'obbligo della licenza edilizia - che fu introdotto molto più tardi, con la Legge n. 1150/1942 - per cui l'abitabilità prevista dalle Leggi sanitarie mirava (a ragione) esclusivamente a salvaguardare la salute pubblica senza alcun riferimento al rispetto della normativa edilizia ed urbanistica.

La versione storica del T.U. edilizia
In tempi più recenti (2001) il Testo Unico dell'edilizia abbandona la classica bipartizione tra abitabilità e agibilità e, nella sua formulazione originaria, dedica gli artt. 24, 25 e 26 all'agibilità degli edifici diretta ad attestare "la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.". In verità, la versione originaria del dPR n.380/2001, dedicava due articoli (art. 24 e 25) all'agibilità degli edifici mentre il successivo articolo 26 disciplinava l'inagibilità degli stessi. La procedura per l'ottenimento della certificazione era relativamente chiara per gli edifici di nuova costruzione mentre diventava farraginosa per quelli già esistenti che, per un motivo o per l'altro, ne erano sforniti; mancavano, inoltre norme specifiche per gli immobili storici realizzati in epoca precedente al 1934 (data di entrata in vigore del R.D. n.1265/1934).

Nuove costruzioni secondo il T.U.
Per gli interventi di nuova costruzione, il titolare del titolo edilizio (P.d.C., D.I.A. o S.C.I.A.) o i loro successori o aventi causa trasmettevano l'istanza di agibilità allo Sportello Unico con allegata la prescritta documentazione. Il comune, istruita la pratica, rilasciava l'agibilità. In verità, nella maggior parte dei casi, veniva applicata la procedura del silenzio-assenso che maturava all'avverarsi delle seguenti condizioni:
- presentazione di una documentazione corretta dal punto di vista formale e sostanziale;
- decorsi trenta giorni dalla trasmissione dell'istanza, ove fosse stato rilasciato il parere della ASL previsto dall'art.5, comma 3, let. a, del D.P.R. n.380/2001;
- decorsi sessanta giorni dalla trasmissione dell'istanza, ove non fosse stato rilasciato il parere della ASL;
- mancanza di un provvedimento formale da parte dell'amministrazione.
All'avverarsi di queste condizioni, l'agibilità poteva essere attestata con una apposita dichiarazione, sottoscritta congiuntamente dal titolare dell'immobile e dal Direttore Lavori, resa ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n.445/2000, trasmessa allo Sportello Unico dell'Edilizia.

L'agibilità su immobili già costruiti e agibili
Il Testo Unico non risparmiava gli immobili già costruiti e già dotati di agibilità; in questo caso era necessario presentare nuovamente la domanda quando l'immobile aveva subito interventi capaci di influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico ovvero quando erano intervenute opere di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia in forma parziale. La nuova domanda diventava necessaria anche nel caso di subentro in attività commerciali-artigianali e/o terziarie e/o cambio d'uso. In questo caso il proprietario ed il tecnico abilitato dovevano rendere una propria dichiarazione, ai sensi del d.P.R. n.445/2000, che andava trasmessa allo Sportello Unico dell'edilizia, attestante: l'idoneità all'uso dell'immobile sotto il profilo igienico-sanitario; la conformità degli impianti; l'inesistenza di barriere architettoniche. Il tecnico asseverava, inoltre, che l'immobile non avesse subito interventi capaci di influire sulla statica del fabbricato, tali da determinare la necessità di provvedere nuovamente al deposito di calcoli statici e (ovviamente) al collaudo statico.

Interventi su immobili privi di agibilità
Per gli immobili già costruiti e privi originariamente della certificazione, alla domanda di agibilità era necessario allegare il certificato di collaudo statico. A questo punto le opzioni erano due: reperire una copia del certificato di collaudo negli archivi del Genio Civile ovvero presentare una perizia giurata, redatta da un tecnico abilitato, attestante lo stato di conservazione strutturale dell'intero immobile, riportante la sua intera consistenza.

La riforma della ScAgi
L'agibilità si trasforma con il DLgs n. 222/2016 (c.d. Decreto SCIA2) che, introducendo una serie di novità in edilizia, riscrive interamente l'articolo 24 del T.U. ed abroga il successivo articolo 25. In tal modo viene introdotta la "segnalazione certificata di agibilità" (ScAgi) che rappresenta una vera e propria riforma copernicana. Mentre, in passato, la certificazione di agibilità veniva normalmente rilasciata dalla pubblica amministrazione e, solo eccezionalmente, poteva essere sostituita da una auto-dichiarazione degli interessati, il nuovo regime segna un deciso cambio di rotta e la certificazione rilasciata dal comune viene sostituita definitivamente con una "segnalazione" effettuata dal titolare del permesso di costruire, o i loro successori o aventi causa. Non è più l'amministrazione che "certifica" le opere, bensì il privato ed il tecnico che "asseverano" la loro regolarità.

La ScAgi richiede la conformità edilizia
La ScAgi contiene una ulteriore novità. La nuova formulazione dell'art. 24, comma 1, del Testo Unico prevede, letteralmente che "La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata." Viene introdotta, quindi, una importante novità in quanto viene richiesta la conformità dell'opera rispetto al progetto presentato. A ben vedere la norma parla di "progetto presentato" e non di "progetto approvato" (che, in ipotesi, potrebbe essere differente) ma, probabilmente, si tratta della solita imprecisione del nostro Legislatore. Ulteriore errore ritroviamo nell'art. 5 del T.U. che, al comma 2, contiene ancora un preciso riferimento al certificato di agibilità.

Nuovi requisiti igienico-sanitari per gli edifici
I requisiti igienico-sanitari degli edifici sono fermi al R.D. n. 1265 del lontano 1934. Alla c.d. "riforma Madia" spetta certamente il merito di essere intervenuta per "svecchiare" la normativa o meglio, quantomeno di averci provato. L'art. 3, let. d) del DLgs n.222/2016, modificando l'articolo 20 del T.U., ha inserito il comma 1-bis ponendo a carico del Ministero della Salute l'onere di emanare, nei successivi 90 giorni, un apposito decreto per definire i requisiti igienico-sanitari degli edifici. Purtroppo, nonostante il termine sia ampiamente decorso, i nuovi requisiti non sono ancora intervenuti ma, quantomeno, resta il merito di aver segnalato al Governo la necessità di aggiornare la normativa di settore.

Per quali immobili occorre e quando possiamo farne a meno
Già la versione storica dell'articolo 24, secondo comma, del T.U., prevedeva che il certificato di agibilità fosse rilasciato esclusivamente per una ristretta casistica di immobili e, in questo senso, prevedeva tre possibilità ovvero:
a) nuove costruzioni;
b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
Di conseguenza, sono escluse dall'obbligo di dotarsi dell'agibilità:
a) le opere che non incidono sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, relativamente ad immobili già dichiarati agibili. In tali ipotesi l'idoneità all'uso dell'immobile potrà essere attestata attraverso una apposita dichiarazione redatta da un tecnico abilitato, resa ai sensi del dPR n.445, da trasmettere allo Sportello Unico;
b) gli immobili ultimati antecedentemente all'entrata in vigore del R.D. n. 1265/1934 che non abbiamo subito, nel tempo, interventi di ricostruzione o sopraelevazione (ex art. 24, comma 2, let. b), totale o parziale nonché interventi che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (ex all'art. 24, comma n. 2, let. c).

L'agibilità parziale (art. 24 T.U.)
Nei ruggenti anni '60, in pieno boom economico, l'agibilità veniva attestata dal Comune per le singole unità immobiliari che venivano dotate ciascuna di una propria certificazione, con tanto di marca da bollo e diritti comunali di segreteria. Successivamente, seguendo i principi della semplificazione amministrativa, si è passati al rilascio dell'abitabilità per l'intero edificio, senza peraltro escludere la possibilità di una abitabilità parziale che, peraltro, rimaneva una scelta della singola amministrazione.
L'agibilità parziale viene definitivamente legittimata dall'articolo 30, comma 1, let. g) del D.L. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013 n. 98 che, modificando l'articolo 24 del T.U., introduce il comma 4-bis. Tale norma ammette il rilascio del certificato di agibilità «a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni; b) per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale.».
Il concetto dell'agibilità parziale viene poi confermato dal DLgs n.222/2016 che, pur riscrivendo l'art. 24 del T.U., ha confermato tale possibilità con il vigente comma 4 che riproduce il contenuto dell'abrogato comma 4-bis.

Il decreto "Ssemplificazioni
L'art. 24 del T.U., a quanto pare, è destinato a non avere pace ed è stato nuovamente modificato dall'art. 10, comma 1, let. n) del decreto semplificazioni (D.L. 76/2020 convertito dalla legge 120/2020) che ha introdotto il comma 7-bis. La norma risolve (o meglio, dovrebbe risolvere) il problema legato alla presenza di immobili che, pur essendo stati legittimamente realizzati, sono privi dell'agibilità. Il nuovo comma 7-bis prevede, al riguardo, che il proprietario possa "sanare" questa mancanza presentando una apposita segnalazione certificata. Purtroppo il problema è stato risolto solo sulla carta. La norma, infatti, è applicabile a due condizioni:
a.- l'immobile deve essere stato legittimamente realizzato;
b.- deve presentare specifici requisiti che dovranno essere indicati con un futuro decreto di prossima promulgazione.
Si ricorda, in proposito, che l'art. 20, comma 1-bis, del T.U., a proposito del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, prevede che "Con decreto del Ministro della Salute, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici." Sta di fatto, però, che tale comma, inserito dall'art. 3, comma 5, let. d), n. 2 del DLgs n. 222 del 25 novembre 2016 (SCIA2), a distanza di anni, se ne è persa ogni traccia. In definitiva, si è portati a ritenere che, ove non vengano definiti i criteri per la presentazione della ScAgi, sarà ben difficile regolarizzare la situazione anche perché la norma attuale non contiene alcun riferimento al possibile contenuto dell'emanando decreto che potrebbe avere i contenuti più disparati.

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