Condominio

Occupazione abusiva, lo stato di necessità ricorre solo se c’è pericolo imminente di danno grave

Lo ha puntualizzato la

di Annarita D’Ambrosio

Inammissibili i ricorsi presentati dagli autori di un’occupazione abusiva di un immobile. La pronuncia della Cassazione 26225 del 18 settembre 2020 si occupa di un tema di strettissima attualità: quello dei motivi che sottendono all’illecita presa di possesso dell’appartamento.

Il legale degli occupanti riteneva la Corte territoriale non avesse tenuto in conto la scriminante dello stato di necessità, di conseguenza non ritenendo applicabile l’articolo 131 bis Codice penale sulle cause di esclusione della punibilità per tenuità del fatto, in contraddizione con il giudizio di primo grado che aveva invece valorizzato le condizioni di marginalità sociale degli attori, le accertate difficoltà economiche ed il protrarsi dell’occupazione per un tempo significativo.

Il pericolo imminente di danno grave
La Cassazione sul primo punto ha richiamato - e questo è importante - i principi enunciati dalla pronuncia di legittimità 28067/2015 ovvero che l’illecita occupazione di un immobile è giustificata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà economica permanente non connotata da pericolo - una subdola intenzione di risolvere le esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia.

Nel momento in cui in sostanza si compie l’atto illecito il pericolo deve essere imminente. individuato e circoscritto nel tempo. «Non può parlarsi di attualità del pericolo in tutte quelle situazioni caratterizzate da una sorta di cronicità, quale appunto possono essere quelle della ricerca di una soluzione abitativa»(Cassazione 19147/2013).

Impossibile richiamare la tenutità del fatto se avvenne con violenza
Quanto alla tenuità del fatto la Corte nel ricordare la violenza con cui l’ingresso in casa era avvenuto, ha richiamato una pronuncia a Sezioni unite del 25 febbraio 2016, la numero 13681, secondo la quale l’articolo 131 bis Codice penale richiede una valutazione complessa e congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza desumibile e e dell’entità del danno prodotto prima di trovare applicazione.

La decisione
Dichiarando inammissibili i ricorsi pertanto la Cassazione ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di duemila euro in favore della Cassa delle ammende

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