Condominio

I lavori vietati dal regolamento condominiale sono sempre lesivi del decoro architettonico

Le modifiche apportate allo stabile da uno dei condòmini, in violazione del divieto previsto dal regolamento, sono opere abusive e lesive del decoro architettonico

di Selene Pascasi

Le modifiche apportate allo stabile da uno dei condòmini, in violazione del divieto previsto dal regolamento, sono opere abusive e lesive del decoro architettonico. Al singolo partecipante, quindi, si riconoscerà l'interesse ad attivarsi processualmente a tutela della cosa comune.

Lo precisa la Corte di cassazione con ordinanza n. 17965 del 27 agosto 2020 (relatore Antonio Scarpa). Prende l'iniziativa un condominio che – chiamando in causa proprietario e conduttori di un locale adibito a pizzeria – impugna una delibera denunciandone l'inefficacia.

Con la decisione, spiega al giudice, era stata autorizzata la collocazione di una canna fumaria sul muro comune del cortile. Alla domanda, però, si aggiunge la pretesa avanzata da usufruttuario e proprietario dell'alloggio sovrastante i quali, lamentata l'emissione di cattivi odori e il malfunzionamento dell'impianto, chiedono la rimozione della canna. Pretesa accolta dal tribunale ma la cessionaria della pizzeria si appella e la Corte gli dà ragione.

Non era stato dedotto, puntualizza il collegio, alcun divieto regolamentare. Peraltro, la canna installata non violava le distanze legali rispetto alle finestre delle scale e l'appoggio dell'impianto poteva ritenersi un uso legittimo del muro perimetrale. Esclusa, anche la lesione del decoro architettonico del fabbricato.

Gli intervenuti (usufruttuario e proprietario dell'unità sovrastante la pizzeria), però, ricorrono per cassazione. Primo motivo, il fatto che le regole condominiali prevedevano un espresso divieto di installare tubi sui muri condominiali. Lamentala accolta e assorbente tutte le altre. Era corretto, spiega la Corte di legittimità, il richiamo operato in appello al consolidato orientamento secondo il quale l'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di uno stabile condominiale equivale a modifica della cosa comune conforme alla sua destinazione.

Modifica che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese sempre che non impedisca l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza della palazzina e non ne pregiudichi il decoro architettonico. Lesione che si rinviene, non quando si mutano le originali linee architettoniche ma qualora la nuova opera si rifletta «negativamente sull'insieme dell'armonico aspetto dello stabile, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio» (vaglio insindacabile in sede di legittimità). Tuttavia, il regolamento di condominio, come marcato nel ricorso, conteneva un espresso divieto di installazione sui muri condominiali di tubi di qualsiasi genere.

Era decisivo, allora, prendere atto del divieto che – se adeguatamente considerato – avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Del resto, in materia di le disposizioni che stabiliscono il divieto assoluto di apportare modifiche alle parti esterne dell'edificio (nella vicenda, installando tubi sui muri perimetrali) si consente all'autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condòmini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà.

Non solo. Il regolamento potrà anche fornire una definizione del decoro architettonico più rigorosa di quella delineata dall'articolo 1102 del Codice civile fino ad «imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio» ( Cassazione 29924/2019 ). E il regolamento condominiale potrà validamente derogare alle disposizioni della norma. La giurisprudenza, difatti, chiarisce che le modifiche apportate da un condomino, in spregio al divieto condominiale, sono abusive e lesive del decoro architettonico dello stabile tanto da far nascere l'interesse processuale del singolo ad agire a tutela della cosa comune. Non c'era altra soluzione, perciò, se non quella di cassare la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione chiamata ad un rinnovato esame del caso.

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