Condominio

Per appurare se l'uso più intenso della cosa comune sia lecito conta l’uso potenziale e non quello concreto

Conta invece l’uso potenziale che gli altri potrebbero farne verificando quindi l’alterazione quali danni potrebbe comportare

di Selene Pascasi

Ogni comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella degli altri purché non ne alteri la destinazione, non ne comprometta il pari uso e non crei una servitù. Ma per stabilire se quell'utilizzo sia o meno consentito non si dovrà guardare a come gli altri adoperino la cosa ma a come potrebbero adoperarla. A contare, quindi, sarà l'uso potenziale e non concreto del bene. Lo precisa il Tribunale di Milano con sentenza numero 2049 del 6 marzo 2020.

La vicenda
È un uomo a chiamare in causa condominio ed Srl per fare accertare l'inesistenza della servitù in favore della società su delle parti comuni dell'edificio (rampe di scale e corridoi) e far dichiarare l'illegittimità del manufatto realizzato dalla ditta nel vano scala. L'opera, di cui chiede la demolizione, era abusiva perché costruita in una parte comune e perché limitante lo spazio a disposizione di tutti. Era, in sintesi, una modifica permanente della cosa comune non permessa dal regolamento e comunque lesiva dell'estetica dell'edificio.

Il condominio rinuncia a comparire e la Srl si difende negando di aver compresso i diritti altrui: le regole condominiali riconoscevano alla sua dante causa una servitù di accesso alle parti di copertura del palazzo. Ad ogni modo, aggiunge, non si trattava di modifiche importanti ma di una semplice apertura di botola per accedere al lastrico solare dal vano condominiale con passaggio di tubature nel muro.

La decisione
Tesi bocciata. Il Tribunale milanese – accertata l'inesistenza della servitù – la condanna alla rimozione. La soluzione della controversia, premette, stava nella natura dei lavori eseguiti. Quella, la chiave per capire se le opere avessero realmente alterato la destinazione della cosa comune in spregio all'uso altrui e se erano davvero permesse dal regolamento. La norma di riferimento, quindi, era l'articolo 1102 del Codice civile inerente la comunione ma estensibile al condominio.

Ciò che era chiaro, è che la società aveva effettuato i lavori in appartamenti di sua proprietà operando su parti comuni: apertura della botola (consentita) e posa, in adiacenza al muro condominiale, di un cassonetto per contenere le tubature. Cassonetto che invadeva gli spazi dedicati al primo piano sforando i limiti fissati dal Codice civile e dal regolamento che – nel riconoscere alla società il diritto di creare accessi alle porzioni di lastrico solare dai corpi scale – non la abilitava a collocare opere non strumentali a tale accesso. Era, dunque, un'opera esclusa dalla servitù d'accesso che occupava, senza il necessario unanime consenso scritto (Cassazione 4501/15) il volume condominiale apponendogli un peso.

Le precedenti pronunce di legittimità
E già Cassazione 9278/18 affermava che la nozione di pari uso della cosa comune «non va intesa come assoluta identità dell'uso del bene da parte di ogni comproprietario» ciò equivalendo al divieto per ognuno di servirsi del bene a suo vantaggio. È corretto, perciò, concludere che il comproprietario ha il diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri purché non ne alteri la destinazione o non comprometta il pari uso.

E per appurare se quell'uso più intenso sia lecito non si avrà riguardo all'uso concreto fatto della cosa dagli altri in un determinato momento ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno così che l'uso si riterrà ammesso se l'utilità aggiuntiva carpita dal comproprietario non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene, sempre che non si dia luogo a servitù a carico del bene comune. Queste, le ragioni per cui il Tribunale di Milano accoglie la domanda del proprietario e condanna la Srl alla demolizione dell'opera abusiva.

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