Condominio

Fumi da un ristorante. Se sono di “normale tollerabilità” non si può sequestrare l’impianto

Nel caso in esame il titolare del locale aveva sostituito il sistema di filtraggio e fatto effettuare una perizia. I condomini però avevano continuato a lamentarsi.

di Annarita D’Ambrosio

Riguarda l’immissione molesta di fumi da un ristorante all’interno di un edificio condominiale la pronuncia della Cassazione 23582 depositata il 5 agosto 2020.

I fatti
A rivolgersi alla Suprema Corte il gestore di un ristorante che chiedeva, ed ha poi effettivamente ottenuto, la cancellazione dell’ordinanza 1/2020 del Tribunale di Pescara del 30 gennaio di quest’anno che aveva confermato il sequestro dell’impianto di areazione/evacuazione dei prodotti di combustione del suo locale, derivanti dalla preparazione di alimenti.

Ancor prima dell’ordinanza del Tribunale, un provvedimento amministrativo del Comune di Pescara aveva già ingiunto al ristorante di eseguire una serie di opere all’impianto perchè gli abitanti degli appartamenti ad esso soprastanti avevano denunciato molestie olfattive ricorrenti. Il provvedimento amministrativo era stato però poi revocato, in presenza di alcuni interventi, e al ristorante era stato chiesto di cuocere gli alimenti non con combustibili solidi quali legno o carbone, ma solo con il gas, cosa che era stata fatta.

Correttivi che non hanno però placato le proteste dei residenti, documentate perfino da riprese cinematogratiche . Per questo, il Tribunale, a cui il condominio si era rivolto, aveva deciso il sequestro dell’impianto. Il titolare del ristorante aveva infatti sostituito l’impianto di filtraggio dei fumi, ma i disagi per i residenti, non erano finiti.

La tollerabilità dei fumi
Il ricorso in Cassazione verte tutto sulla sopportabilità o meno delle emissioni del ristorante, considerato anche che il titolare aveva fatto effettuare una perizia che attestava la conformità delle emissioni gassose. La Cassazione puntualizza che sono due gli orientamenti in materia: il primo che fa rientrare le emissioni moleste nel reato di getto pericoloso di cose e pertanto fa riferimento al criterio della «stretta tollerabilità» nella valutazione dei danni (Cassazione 36905/2015).

Orientamento che la Suprema corte sottolinea però numericamente poco rappresentato. Da preferire - charisce - l’altro criterio: ovvero quello del paramentro della «normale tollerabilità» (Cassazione 14467/2017; Cassazione 45230/2014). La stretta tollerabilità in sostanza torna quando c’è una lesione comprovata del diritto alla salute, altrimenti il concetto di molestia va ben definito: bisogna distinguere quando l’attività produttiva è svolta senza l’autorizzazione dell’autorità preposta, e quando si sono superati i limiti dell’autorizzazione esistente (Cassazione 54209/2018).

La decisione
La Corte ha pertanto accolto il ricorso del titolare dell’esercizio perchè il criterio di stretta tolletrabilità non doveva applicarsi al caso in esame. Tra l’altro il Tribunale di Pescara non aveva dato valore alla perizia di parte perchè «la scelta dei punti di campionamento (per la verifica dell’emissione dei fumi) era stata effettuata dal titolare dell’esercizio». Trattandosi di perizia di parte non avrebbe però potuto essere altrimenti. Ed il Tribunale avrebbe invece dovuto spiegare i motivi dell’inaffidabilità del campionamento effettuato. Pertanto l’ordinanza è stata annullata con rinvio ad un nuovo esame da parte del Tribunale di Pescara.


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