Condominio

Servitù di veduta contestata. Alla Cassazione non si può chiedere una nuova valutazione dei fatti

Chi si era rivolto alla Suprema corte invece lo aveva erroneamente chiesto

di Va.S.

La Suprema corte, con l'ordinanza numero 12582 del 2020, ha chiarito, ancora una volta, che, in un ricorso in Cassazione, non è ammissibile, nel giudizio di legittimità, una nuova valutazione dei fatti e delle prove già esaminate nei precedenti gradi di giudizio.

La vicenda e le pronunce di merito
All'origine dei fatti per i quali gli ermellini si sono pronunciati, la richiesta, al Tribunale di Bergamo, delle comproprietarie di un edificio che convenivano le proprietarie dell'edificio limitrofo per ottenere la demolizione o l'arretramento fino a distanza legale di opere realizzate in violazione alle norme imposte per l'apertura di vedute. Le convenute resistevano alla domanda, chiedendo che il Tribunale dichiarasse il loro acquisto per usucapione delle servitù di veduta.

I giudici di primo grado rigettavano la domanda delle attrici, confermando il loro diritto a mantenere le veduta in contestazione. Una sentenza confermata anche in secondo grado, contro la cui pronuncia le ricorrenti proponevano ricorso per Cassazione denunciando il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli articoli 116 Codice procedura civile, 2697 e 1158 Codice civile, censurando la decisione della Corte di accertamento dell'usucapione della servitù di veduta a favore del fondo delle controparti.

L’anno di realizzazione delle opere
Per la ricorrente tale statuizione, fondata sul rilievo della perizia secondo cui l'epoca di realizzazione delle opere in questione doveva collocarsi tra il 1977 e il 1980, sarebbe stata in contrasto con il materiale probatorio acquisito e smentita delle prove documentali attestanti la realizzazione di tali opere in epoca posteriore. In particolare nel mezzo di impugnazione si argomentava che il protocollo apposto dal Comune di Nembro sulla comunicazione di fine lavori riportava la data del 21 agosto 1984, rispetto alla quale, alla data della domanda giudiziale, 10 giugno 2004, non era decorso il ventennio.

Non rilevando, secondo la ricorrente, la data di fine lavori dichiarata dal titolare della concessione edilizia (27 maggio 1980), trattandosi di dichiarazione priva di fede privilegiata.

La decisione della Suprema corte
Una censura ritenuta inammissibile dagli ermellini, in quanto, pur denunciando un vizio di violazione di legge, non indicava alcuna regola di diritto enunciata, o applicata, dalla Corte territoriale in contrasto con le disposizioni, limitandosi a contestare l'apprezzamento delle risultanze probatorie operato nella sentenza impugnata.

La ricorrente, infatti, chiedeva alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti e delle prove, non ammissibile nel giudizio di legittimità. Non solo, ma la circostanza che la dichiarazione di fine lavori, alla data del 27 maggio 1980, fosse stata protocollata in Comune il 21 agosto 1984 e non il 21 maggio 1984, come erroneamente riportato nella perizia, era menzionato nella sentenza impugnata, escludendo, perciò, la possibilità che, in relazione a tale circostanza, potesse ipotizzarsi una censura per omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 numero 5 Codice procedura civile.

La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha condannato la ricorrente a rifondere alla controparte le spese di giudizio del grado, liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.

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