Condominio

La tutela del decoro architettonico nelle previsioni del regolamento condominiale

Spetta al giudice verificare l’eventuale condotta lesiva

di Davide Longhi

Il presente contributo prende spunto dalla recente ordinanza della Cassazione 9957 del 27 maggio 2020 (conforme a Cassazione 28435/2019) che ha risolto il problema dell'alterazione del decoro architettonico alla luce della corretta interpretazione delle norme contenute nel regolamento di condomino. L'aspetto estetico ed il decoro del condominio non hanno una definizione normativa pertanto, come sovente accade, ci ha pensato la giurisprudenza a svilupparne una descrizione precisa e puntuale.

L'ordinanza in commento offre l'occasione per due brevi riflessioni: la prima sull'interpretazione del regolamento contrattuale; la seconda in ordine alla nozione di decoro architettonico.

Il caso giudiziale
Il fatto posto al vaglio del giudice ha per oggetto l'analisi di una norma contenuta nel regolamento di condomino che vieta le opere riguardanti le parti comuni. L'articolo 1120 ultimo comma Codice civile se confrontato con la norma del regolamento contiene un divieto meno rigido, richiedendo l'ulteriore requisito dell'alterazione al decoro architettonico; «…sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico...». La Corte però afferma che la norma del regolamento di condominio non preveda nulla di diverso rispetto alla norma sopra citata contenuta nel regolamento di condominio.

Definizioni
L'aspetto architettonico è la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio a cui fa riferimento l'articolo 1127 comma 3 Codice civile (in tema di sopra elevazioni) e sottende il riferimento allo stile del fabbricato, alla fisionomia ed alle linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore (Cassazione 22156/18), mentre il decoro architettonico, è una qualità positiva dell'edificio, derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche, principali e secondarie e non correlato alla sola estetica del fabbricato, ma anche alle condizioni di singoli elementi o di singole parti dello stesso.

Si è dibattuto a lungo in dottrina e giurisprudenza se le diverse locuzioni si equivalessero o meno. Il decoro architettonico non è una qualità eventuale del bene ma un valore immanente all'esistenza stessa dell'edificio, peraltro, non assoluto, ma misurato in relazione alle caratteristiche peculiari del singolo fabbricato, il quale ha una propria ed unica dignità estetica. Esso, infatti, non è cedibile, non a causa della sua immaterialità, bensì perché è intimamente unito alla struttura stessa del fabbricato.

Il regolamento di tipo contrattuale può dare una definizione del decoro architettonico più rigorosa e stringente rispetto a quella contemplata dall'articolo 1120 Codice civile o posta alla base dell'articolo 1102 Codice civile. Come precisato dall' ordinanza in esame il regolamento di natura negoziale può imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio e/o richiedere per le modifiche delle facciate il benestare scritto del progettista del fabbricato o di altro tecnico da nominare (Cassazione 4509/1997; Cassazione 8883/2005; Cassazione 1748/2013; Cassazione 30528/2017).

La norma contenuta nel regolamento di condominio
L'articolo 1138 comma 1 Codice civile dispone che il regolamento condominiale può contenere norme per la tutela del decoro dell'edificio, da intendersi in generale ed in senso ampio e cioè non limitato solo all'aspetto “architettonico” o all' “estetica” del fabbricato, ma ricomprendente anche tutte quelle attività che possono deprezzarne il valore.

Il tema è costituito dalla portata che bisogna attribuire, in sede interpretativa (e, quindi, applicativa), alla clausola “drastica/restrittiva” che pone il divieto di modificare le parti comuni. A seconda della disciplina e dei limiti che si intendono porre, le norme del regolamento possono avere natura regolamentare (disciplinando e regolamentando l'uso del bene comune, senza incidere sui diritti individuali di ciascun condomino sulla rispettiva proprietà esclusiva o sui beni comuni) e/o natura contrattuale.

Nel primo caso, esse potranno essere inserite in un regolamento approvato dall'assemblea mediante delibera assunta con la maggioranza del secondo comma dell'articolo 1136 Codice civile. Nel secondo caso, invece, sarà necessario, ai fini della loro validità ed efficacia, che siano inserite in un regolamento contrattuale, accettato cioè da tutti i partecipanti alla compagine condominiale e/o comunque opponibile agli stessi; occorrerà quindi un vero e proprio accordo negoziale.

Il divieto di modifica della cosa comune
Le norme che comprimono il diritto di ciascun condomino sulla cosa comune e/o sulla sua proprietà esclusiva sino a vietare qualsiasi modifica dell'architettura generale dell'edificio, prefiggendosi la conservazione del suo originario aspetto, nonché quelle che impongono il preventivo consenso dell'amministratore o dell'assemblea per qualsiasi opera che modifichi il decoro dell'edificio, prevedendo in difetto l'obbligo di ripristino dello stato di fatto (Cassazione 4509/97), sono un'esplicazione dell'autonomia privata e della facoltà di stipulare convenzioni che limitino nell'interesse comune i diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto di proprietà.

Le stesse pertanto hanno natura contrattuale e possono derogare all'articolo 1102 Codice civile. L'assemblea, nell'esercizio dei suoi poteri di gestione, può ratificare o convalidare a posteriori le attività attuate dall'amministratore o dai singoli condomini in difetto della necessaria preventiva autorizzazione. Non rientrano nel potere dell'assemblea condominiale deliberare e/o autorizzare opere lesive del decoro del fabbricato, né un simile potere può essere attribuito all'assemblea dal regolamento (Cassazione 175/1986).

Pertanto da una parte si può derogare all'art. 1102 tramite un regolamento contrattuale mediante una clausola che pone il divieto di apportare modifiche alle parti comuni, dall'altra parte non è possibile derogare, neanche contrattualmente, alle disposizioni richiamate dall'articolo 1138 comma 4 Codice civile con la conseguenza che l'eventuale clausola del regolamento che disponga in tal senso sarà nulla (Cassazione 11268/1998).

La clausola che pone il divieto di apportate modifiche alle parti comuni deve essere interpretata secondo le regole dettate in materia di contratti sulla base dei criteri ermeneutici soggettivi derivanti dagli articoli 1362-1365 Codice civile (comune intenzione dei contraenti senza limitarsi al solo significato letterale) e criteri ermeneutici oggettivi ex articoli 1366-1370 Codice civile (interpretazione sul significato più idoneo circa la natura, l'oggetto, la funzione economica e sociale del contratto) (Cassazione 19229/2014).

Occorre ricordare come la Suprema corte (Cassazione 21307/16 - Cassazione 4125/2011) abbia affermato l'inammissibilità di un'interpretazione cosiddetta estensiva del divieto ovvero: «…Le clausole … non sono suscettibili di interpretazione estensiva…». Inoltre, viene affermato il principio di incontrovertibilità delle disposizioni di divieto (già Cassazione 95647/97).

La valutazione giudiziale della lesione del decoro
L'elaborazione della giurisprudenza di legittimità spiega come le modificazioni apportate da uno dei condomini, nella specie alle parti comuni, in violazione del divieto previsto dal regolamento di condominio, connotano come opere abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico dell'edificio e configurano l'interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune.

Il giudice deve accertare che l'alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di un'apprezzabile valutazione economica, mentre detta alterazione può affermare senza necessità di siffatta specifica indagine solo se abbia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o natura, che quello economico possa ritenervisi insito.

L'innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non è solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio (Cassazione 17102/18). L'alterazione di tale decoro è integrata, quindi, da qualunque intervento che alteri in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono all'edificio una sua propria specifica identità (Cassazione 1076/05 e Cassazione 14455/09).

Si segnala che «…l'apprezzabilità dell'alterazione del decoro deve tradursi in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l'innovazione viene posta in essere…» (Cassazione 1286/2010). Quindi non è sufficiente dire che una modificazione è peggiorativa dell'estetica, ma bisogna anche provare che tale peggioramento è appariscente ed economicamente apprezzabile.

P rova da una parte e motivazione dell'altra
Insomma, al giudice non è sufficiente affermare che la modifica ha comportato un'alterazione, ma deve spiegare anche perché quella debba essere considerata tale. Come ha detto più volte la Cassazione «…il giudice trovandosi a valutare se sussista lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a causa di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l'edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l'ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo , ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori» (Cassazione 11177/2017). La tutela del decoro architettonico (articoli 1120 - 1122 - 1122-bis Codice civile) assume rilevanza sia per la facciata esterna che per gli elementi interni del fabbricato dotati di autonomo valore estetico e di pregio dell'immobile.

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