Condominio

Buon compleanno riforma!

Sono passati 7 anni dal 18 giugno 2013, data di entrata in vigore della legge 220/2012

di Daniela Zeba

Dal 18 giugno 2013 sono passati ormai sette anni: siamo alle porte del compleanno dell'entrata in vigore della legge 220/12 di riforma del condominio.
Sembra passato un secolo, ma soprattutto, sembra si sia capovolta totalmente la prospettiva della visione del risultato ottenuto con quella riforma, dal 2013 ad oggi.
L'entusiasmo di chi allora la proclamava addirittura come un vero successo, ha lasciato spazio all'amara constatazione che, di fatto, la riforma non abbia centrato alcuno dei suoi obiettivi, peggiorando in realtà la situazione per almeno tre macroscopici fondamentali aspetti: sono aumentate in maniera esponenziale le liti, è stata sancita la morte della professione dell'amministratore di condominio con l'istituzione dell'amministratore interno, senza necessità di titolo di studio, di formazione base e di formazione periodica e, cosa ancor più grave, si è persa l'occasione di dotare il condominio di personalità giuridica, inquadrandolo in chiave moderna e decisamente più gestibile.

A detta degli addetti ai lavori infatti, la 220 non andrebbe solo riformata, ma totalmente riformulata, a maggior ragione oggi, dove gli scenari si stanno modificando, dando luogo a future prospettive con caratteristiche composite e differenti ed in cui la chiave per poter declinare il futuro, sarà nelle mani dell'amministratore, inteso non certo come fino ad oggi, ma come un vero e proprio manager dotato di poteri decisionali e competenze specifiche.
I segnali sono inequivocabili e molti sono diventati eclatanti anche a causa della pandemia.
L'amministratore, ad esempio, deve poter avere strumenti che gli permettano di lavorare da remoto, in sicurezza e facilità, senza doverne elemosinare la concessione ad un legislatore sempre troppo distratto per occuparsi di lui.

Ma non solo.
L'amministratore deve poter amministrare prendendo decisioni sull'ordinaria amministrazione in autonomia gestionale, passando al massimo er il Consiglio di condominio. Delegare all'assemblea ogni decisione di spesa implica sovente paralizzare la vita del condominio e renderlo inefficiente sotto il profilo energetico, conservativo e manutentivo.

Occorre uscire dall'ottica dell'emergenza e puntare ad una prospettiva programmatica, ma per fare questo il mandato di un professionista non deve essere a scadenza annuale, ma confortato da un contratto adeguato alle esigenze di ogni singolo condominio, per il tempo che le parti riterranno necessario per la definizione degli obiettivi prefissati e concordati preventivamente all'atto della nomina.

L'amministratore deve potersi definire manager non per vezzo, ma per l'effettivo potere riconosciuto da una (nuova) legge in grado di gestire con efficacia il patrimonio economico degli immobili con piani a breve, medio e lungo periodo, proponendo soluzioni nell'ottica di una manutenzione preventiva e programmata, addirittura proponendo onorari in base ai risultati ottenuti.

Occorre diminuire il gap esistente nel patrimonio immobiliare tra edifici di vari livelli conservativi e varie dimensioni. Occorre tarare procedure e metodologie adeguate alle comunità condominiali: impensabile poter gestire immobili di migliaia di unità con meccanismi decisionali e procedure di voto identici a quelli utilizzati per condomini da poche unità immobiliari.

Oggi ci sono amministratori di grandi complessi immobiliari che si stanno quotando in borsa che convivono con amministratori dei cosiddetti condomini minimi: sono mondi diversi che hanno mercati diversi e pretendono professionisti capaci con competenze diverse.

Oggi sono in atto fusioni di patrimoni immobiliari di pregio che fanno intendere che la managerialità del professionista immobiliare è già in atto in barba alla 220, inadeguata e obsoleta dalla nascita.

È nata ad esempio la lobby del patrimonio culturale: Assopatrimonio, una nuova realta' che mette insieme diversi soggetti pubblici e privati che operano nei beni culturali, presieduta da Ivan Drogo Inglese, già presidente di Assocastelli.
Sintomo, questo che una riforma non è solo necessaria, ma anche inderogabilmente indispensabile.

Occorre un nuovo approccio culturale, portatore di una nuova linea di pensiero.
Significative sono le parole del presidente Inglese, che nel comunicato stampa di presentazione di quella che è stata definita la “Confindustria dei Patrimonio”, ha affermato provocatoriamente di “non credere nell'associazionismo perche' in questi anni non ha risposto alle esigenze degli associati. Assopatrimonio infatti si pone come una vera e propria lobby, perche' il patrimonio italiano ha bisogno di questo. È il patrimonio piu' importante del mondo, ma quando facciamo questa affermazione non possiamo dire che questo patrimonio vale punti di Pil. E invece dobbiamo arrivare a dirlo”.

Non sprechiamo allora più occasioni e non fermiamoci alla miopia di chi pretende di rappresentare una categoria solo in forza di iscritti a seguito di un corso di 72 ore, che comprendono dopolavoristi, doppiolavoristi e casalinghe annoiate. Le associazioni storiche non hanno l'esclusiva rappresentatività degli amministratori: cambiamo prospettiva ed uniamo le forze.

I tempi richiedono professionisti con la P maiuscola, a prescindere dalla casacca indossata. Occorre favorire la trasversalità e attivare il pensiero laterale, perché o si forzano i tempi e si modificano le leggi attuali (visto che sembra che la politica sia propensa a farlo) o qualcuno si estinguerà, come i dinosauri.

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