Condominio

Per provare l’usucapione anche il compossessore deve compiere atti precisi

Nel caso in esame pertanto è risultato soccombente nonostante avesse utilizzato il bene in maniera esclusiva per oltre 20 anni

di Va. S.

Una vicenda familiare di possesso e compossesso di un bene è stata al centro dell'ordinanza 8780 del 2020 nella quale la Cassazione si è pronunciata dopo il ricorso promosso da uno dei componenti del nucleo familiare.

La vicenda
Nei fatti, in origine, il comproprietario di un palmento citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, il cugino chiedendo di accertare il suo diritto pervenuto, in parte, per successione ereditaria dal padre ed, in altra parte, per l'acquisto delle quote delle sorelle. Nel verbale del 2 gennaio 1964, in sede di divisione giudiziaria dei beni, era stato stabilito che il palmento restasse in comune tra i fratelli, oltre ad un terzo estraneo, con il diritto di ciascuno di pigiare ogni anno le uve di rispettiva proprietà e di averne, per il resto, l'uso esclusivo per tre anni consecutivi a rotazione.

Nel 1985, l'attore aveva acconsentito alla richiesta del cugino di utilizzare l'immobile come deposito di materiale edile, rinunciando alla sua fruizione nel periodo di godimento a lui spettante. Quest'ultimo, continuava, quindi, a trattenere l'immobile nonostante una formale richiesta di rilascio nel 1996, opponendo una presunta usucapione.

Il cugino, da parte sua, deduceva di aver ricevuto l'assegnazione del godimento esclusivo del palmento per il primo triennio e che, da quel momento, egli era sempre rimasto nel possesso del bene, detenendone in via esclusiva le chiavi e concedendone l'uso ad un vicino, eccependo, quindi, la maturata prescrizione ventennale. A fronte di tutto ciò, l'attore chiedeva la condanna delconvenuto a rilasciare l'immobile, rispettando la turnazione prevista.

Le pronunce di merito e motivi di ricorso in Cassazione
I Tribunali di primo e secondo grado rigettavano l'eccezione di usucapione, dichiarando il diritto dell'attore a godere dell'immobile secondo le modalità del verbale del 1964. Il cugino, perciò, ricorreva in Cassazione, censurando la sentenza della Corte d'Appello lamentando che per oltre venticinque anni, egli aveva chiuso a chiave il palmento senza che altri potessero accedervi, ragione per cui, tale chiusura, quando protratta nei successivi trent'anni anche durante i periodi autunnali destinati alla pigiatura delle uve, in modo tale da escludere la possibilità di un rapporto materiale con il bene da parte di tutti gli altri comproprietari, integrerebbe il possesso ad usucapione in capo al comproprietario che ne ha avuto il possesso esclusivo per oltre un ventennio.

Inoltre, censurava la sentenza nella parte in cui la corte d'appello aveva ritenuto significativo che il verbale del 1964 contenesse una postilla con la quale il termine “possesso” viene sostituito con il termine “uso”, laddove, in realtà, in nessun luogo di tale atto è dato trovare l'indicata postilla.

Inoltre, l'uso esclusivo del bene, dopo il primo triennio, da parte dei propri figli e non in base alla prevista turnazione costituirebbe un elemento inequivocabile del mutamento del titolo del possesso, protrattosi al di fuori del turno previsto, e assumendo una decisiva rilevanza ai fini della valutazione della ricorrenza dei presupposti della maturata usucapione.

La decisione
Per la Cassazione, la Corte d'appello si è basata sul principio secondo il quale, in tema di compossesso, «il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, in mancanza di prova di un atto o di un fatto da cui possa desumersi l'esclusione degli altri compossessori, non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapione, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cassazione 8152/2001; Cassazione 19478 /2007; Cassazione 17462/2009)».

Per dare luogo ad una estensione del potere nella sfera di altro compossessore non sono sufficienti, perciò, la chiusura dell'accesso, consentiti al singolo compartecipante, o la permanenza nell'immobile pur dopo la cessazione del periodo corrispondente al turno convenzionalmente stabilito, o atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune.

Il ruolo del compossessore
In particolare, la durata triennale dei turni implicava che ciascuno potesse fare dell'immobile qualunque utilizzo che fosse conforme alla generica destinazione a deposito o magazzino e non incompatibile con lo specifico impiego come palmento, limitato ad un ristretto periodo dell'anno. Il detentore di turno, quindi aveva il dovere, anche in funzione dello specifico uso impresso al bene nel corso del periodo compreso tra due successive vendemmie, di curare, nei tre anni del suo turno, l'ordinaria manutenzione della proprietà, apportando a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento dello stesso, compresa la predisposizione di idonee chiusure per prevenire eventuali indebite incursioni, comprese quelle degli stessi comproprietari.

Del resto, la postilla contenuta nell'atto, con cui il termine “possesso” viene sostituito con “uso”, dimostra la chiara intenzione delle parti di voler regolamentare l'uso del bene comune ma non di rinunciare al compossesso dell'immobile vantato, fino a quel momento, da entrambi quali coeredi.

Del resto, la corte aveva evidenziato che neppure negli anni successivi l'appellante aveva mai alterato la destinazione d'uso dell'immobile, che aveva conservato la funzione già esistente al momento dell'atto del 1964, venuta meno, invece, per la progressiva rovina del palmento. La Cassazione, rigettando il ricorso, ha condannato il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%.

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