Condominio

Schiamazzi notturni. Condanna anche per il gestore che ha ceduto la proprietà del locale

Il gestore negava di essere tale, ma risultava agli atti il suo interessamento nel far cessare i rumori molesti

di Va. S.

Notti insonni per via di schiamazzi notturni che perturbano la quiete pubblica. Una delle problematiche ricorrenti nel variegato universo condominiale. Con la sentenza 13920 del 2020, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dal gestore di una struttura recettiva contro la sentenza della Corte d'appello di Firenze che aveva riformato la precedente decisione del Tribunale di Pistoia.

Le pronunce di merito
Quest'ultima aveva ritenuto l'attore responsabile di disturbo alla quiete pubblica per non aver impedito gli schiamazzi e i rumori prodotti degli utilizzatori della struttura, i quali abusavano anche di strumenti di diffusione sonora di musica. Il Tribunale condannava, perciò, l'attuale ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili. La Corte d'appello, successivamente, rilevava l'avvenuta estinzione del reato contestato per effetto della prescrizione, ritenendo, tuttavia, infondate le ragioni impugnatorie dell'imputato, confermando, pertanto, la condanna al risarcimento del danno patito dalle costituite parti civili.

Il ricorso alla Suprema corte
L'attore, nel ricorso in Cassazione articolato su un unico motivo, ribadiva di aver ceduto sin dal marzo del 2011 la propria azienda ad un altro imprenditore. Essendo la contestazione penale con decorrenza dal giugno 2011, osservava che il ragionamento seguito dalla Corte di appello nel quale egli avrebbe conservato la gestione della struttura, era viziato in quanto fondato sulle dichiarazioni rese da un secondo attore il quale aveva dichiarato di aver avvertito il gestore del locale, presumibilmente, nel 2011, del fatto che da esso venissero diffuse intollerabili immissioni sonore.

La decisione
La Cassazione ha premesso che nell'unico motivo di impugnazione, il ricorrente non contestava la materialità del reato a lui addebitato, ma affermava che la sentenza della Corte di appello di Firenze fosse difettiva sia sotto il profilo della logicità della motivazione sia in relazione alla sua identificazione quale gestore del locale pubblico da cui provenivano le immissioni sonore, lamentando che i giudici del merito lo abbiano ritenuto responsabile della cattiva condotta sebbene non sussistessero gli elementi per affermare che, al momento dei fatti, egli fosse il gestore del locale da cui provenivano le immissioni sonore.

Una formulazione della censura ritenuta inammissibile dagli ermellini per i quali la sentenza della Corte di appello di Firenze aveva chiarito, richiamando la testimonianza di uno dei soggetti coinvolti dal disturbo alla quiete pubblica, le ragioni per le quali il ricorrente era stato individuato come gestore del locale anche nel periodo di cui al capo di imputazione.

Il teste aveva, infatti, precisato di aver personalmente fatto verificare la intensità delle immissioni sonore, ottenendo dal ricorrente un'assicurazione, non rispettata, sul fatto che avrebbe provveduto a rimuovere la loro causa. Da ciò, la Corte d'appello aveva plausibilmente desunto il fatto che il ricorrente fosse interessato alla gestione del locale tanto da impegnarsi a rimuovere le cause delle immissioni.

La Cassazione ha, perciò, dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di 2000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©