Condominio

Demolizione e ricostruzione con stessi sedime, volume e altezza

I vicini, e in particolare i frontisti, possono reagire in termini diluiti, anche a distanza di anni, per ottenere il rispetto delle distanze

di Guglielmo Saporito

Rischia un grosso passo indietro l'attività edilizia e in particolare la ristrutturazione ricostruttiva, che pur consentirebbe una pronta ripresa dell'economia.

L'ostacolo viene da una sentenza della Corte costituzionale (24 aprile 2020 n. 70) la quale afferma che le ristrutturazioni effettuate con demolizione e ricostruzione devono rispettare il volume, l'area di sedime e l'altezza preesistenti. Esaminando una norma della regione Puglia (59 / 2018) i giudici costituzionali ripercorrono le varie norme dell'ultimo ventennio sui parametri da rispettare nelle demolizioni e ricostruzioni: in principio (Testo unico del 2001) occorreva rispettare sagoma, volume, l'area di sedime e anche il materiale costruttivo dell'edificio preesistente.

Per di più, la ricostruzione doveva essere «fedele e identica», quindi con vincoli molto rigidi. Già due anni dopo, nel 2002, si è abbandonato il riferimento all'area di sedime e ai materiali (nonché al concetto di “fedeltà”), mantenendo il rispetto di sagoma e volume di ciò che viene demolito. Sono poi sopravvenuti i “piani casa” affidati alle Regioni, con misure premiali (volumi aggiuntivi) delocalizzazioni, meccanismi di “decollo” e “atterraggio” che hanno consentito non solo recuperi ma anche rigenerazioni, riusi, riqualificazioni sia di singoli edifici che di maglie del tessuto urbano.

I rischi per l’edilizia sostitutiva
Quasi contemporaneamente, norme sul contenimento dei consumi energetici e sull'adeguamento antisismico, unitamente a benefici fiscali, hanno reso vantaggioso gli interventi di edilizia sostitutiva.

Ora tutto ciò rischia di venir meno a causa di una lettura restrittiva di una norma del 2019, in cui appare una congiunzione (”purché”) che tocca due momenti delicati dell'attività edilizia: da un lato la demolizione di ciò che già c'è, dall'altro il rispetto delle distanze dai vicini.

Se si demolisce, si perde un bene che, quantunque degradato, ha un valore; i vicini, e in particolare i frontisti, possono reagire in termini diluiti, anche a distanza di anni, per ottenere il rispetto delle distanze. Queste ultime poi, secondo parametri validi dal 1968 (Dm 1444), si attestano sui 10 metri da altre costruzioni, distanza che impedirebbe gran parte degli interventi edilizi di ricostruzione.

I nuovi limiti
Su un tessuto così sensibile e incandescente, la sentenza 70 della Corte costituzionale interpreta la norma del 2019 (articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo unico dell’edilizia 380) che ammette la demolizione e ricostruzione con le distanze preesistenti «purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito». Secondo la Corte, il legislatore del 2019 consente le demolizioni e ricostruzioni, ma solo nel caso in cui siano identici l'area di sedime, il volume e l'altezza. Di fatto, ciò blocca tutti gli interventi e i piani casa, quanto meno perché occorre collocare i volumi premiali e le nuove tecniche costruttive.

Più corretto, sarebbe stato intendere la congiunzione “purché” come una condizione da rispettare, ma solo da parte di chi intenda mantenere le specifiche, identiche distanze preesistenti, lasciando invece liberi gli interventi che intendano aumentare (cioè migliorare) le distanze stesse. Centri storici e zone con specifici vincoli, manterrebbero la loro trama edilizia attuale (Dl 70/2011), ma in tutte le altre zone si realizzerebbe una migliore qualità degli edifici, che certo non dipende dall'area di sedime o dal volume dell'edificio demolito.

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