Condominio

In assemblea di condominio diritto di critica, mai di ingiuria o diffamazione

Per questo è stato condonnato un condominio che ne accusava un altro di aver occupato indebitamente una proprietà comune

di Edoardo Valentino

Nel corso di una assemblea condominiale un proprietario affermava ripetutamente come un altro avesse illegittimamente occupato il sottotetto, utilizzandolo come un bene di sua proprietà esclusiva.Queste affermazioni, peraltro in precedenza contenute in una lettera indirizzata al vicino e allo stesso stabile, si concretizzavano nell'accusa verso la controparte di avere «occupato abusivamente un sottotetto nel condominio utilizzandolo come abitazione attraverso una serie di atti illegittimi, falsi e nulli, violando le più normali regole della giustizia».

La vicenda approdava al giudice penale, che si trovava a decidere in merito alla presunta diffamazione del condomino da parte dell'autore di queste affermazioni. L'articolo 595 del Codice penale, che prevede il reato di diffamazione,afferma nei suoi primi due commi che «chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2065 euro».

L’iter giudiziario nei vari gradi di giudizio
Il giudice di primo grado , all'esito del giudizio, dichiarava il condomino colpevole del reato di diffamazione e lo condannava alla pena sopra riportata.Contro la decisione il presunto colpevole proponeva appello, ma il giudice del riesame confermava l'esito del primo giudizio. La vicenda approdava quindi in Cassazione, a seguito di ricorso del condannato. Nell’atto la parte, sostanzialmente, sottolineava l'assenza di responsabilità a causa di diverse circostanze.

I motivi di difesa del condannato
In prima battuta l'imputato lamentava come la Corte d'appello avesse mancato di riesaminare le prove processuali, violando il suo diritto di “difendersi”, di cui all'articolo 495 del Codice di procedura penale.

In seconda battuta il ricorrente lamentava la mancata applicazione dell’attenuante di cui all'articolo 51 del Codice di procedura penale. Il primo comma prevede che «l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità». A detta del ricorrente, infatti, le proprie affermazioni sarebbero state da leggere nel contesto del tentativo della difesa di un diritto (di proprietà) violato dalla parte danneggiata, ragione in virtù della quale la fattispecie penale non sarebbe stata applicabile.

Il rigetto del ricorso
Con la sentenza Cassazione Sezione I Penale, 23 marzo 2020, numero 10505, la Suprema Corte rigettava il ricorso. Quanto al primo motivo, gli ermellini affermavano come ogni possibilità di difesa era stata concessa all'imputato tanto in primo quanto in secondo grado e che l'analisi dell'istruttoria processuale costituiva un accertamento di fatto che era impossibile rimettere al giudice di legittimità.

Per ottenere una pronuncia di cassazione della sentenza di appello, infatti, sarebbe stato necessario censurare una specifica condotta del giudice d'appello la quale avesse viziato il processo portando ad una condanna illegittima. Allegare invece una generica omissione dell'istruttoria processuale non era, di per sé, sufficiente per ottenere la cassazione della pronuncia.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Cassazione chiariva che i fatti affermati dall'imputato, erano stati smentiti più volte dal complesso delle acquisizioni probatorie nel processo. Le accuse del condomino si erano, quindi, rivelate del tutto infondate.
Non solo. Aggiunge la Cassazione che, in ogni caso, le frasi dette dall'imputato non potevano essere considerate accettabili nella dialettica, sia pure conflittuale, del condominio. La lesione della dignità personale e, addirittura, la precisa accusa di violazione di norme penali, doveva certamente essere considerata illegittima e oltre lo scopo della normale critica.

L'imputato, quindi, nei modi e nei mezzi si era reso indiscutibilmente responsabile di una diffamazione a danni del comproprietario. Alla luce di queste la Cassazione confermava la sentenza d'appello e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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