Condominio

È legittimo il ristorante nel condominio se il regolamento non lo vieta espressamente

di Matteo Rezzonico (Presidente FNA - Federamministratori)

Il Regolamento condominiale contrattuale è quello redatto dall'originario costruttore dell'edificio e da questi fatto approvare singolarmente agli acquirenti degli appartamenti, all'atto del frazionamento dell'edificio per effetto della trascrizione in Conservatoria registri immobiliari. Proprio perché approvato all'unanimità, esso può contenere dei vincoli più stringenti rispetto a quello approvato a maggioranza, ovvero di origine assembleare. Quest'ultima tipologia di regolamento - approvato in assemblea con le maggioranze di legge (cfr. articolo 1138, comma tre, del Codice Civile, cioè 500 millesimi oltre alla maggioranza degli intervenuti), a differenza di quello contrattuale - non può porre vincoli ai modi di utilizzo della proprietà individuale, (proprio per i limiti connessi alla sua formazione).
Ciò premesso, occorre un divieto esplicito del regolamento condominiale contrattuale, accettato dai singoli condòmini (o trascritto con apposita nota), per vietare l'esercizio di una specifica attività, come ad esempio quella di ristorazione. Non basta invece il divieto regolamentare di destinare i locali a pubblici uffici, sale da ballo eccetera (così come non è ammessa l'interpretazione analogica o estensiva dei divieti).
Lo ha ribadito il Tribunale di Milano, Tredicesima Sezione civile, con la sentenza 9/2020, pubblicata il 3 gennaio 2020 , relativa ad un locale ad uso ristorante, ricavato nel piano terra del condominio.

Il caso
Nel caso affrontato dal Tribunale milanese, la natura contrattuale del Regolamento risulta dall'articolo 1 del Regolamento stesso (trascritto in Conservatoria Registgri immobiliari) che stabilisce l'obbligo di approvazione da parte di tutti i condòmini con la consegna di ciascuna proprietà. L'osservanza del regolamento è pertanto obbligatoria per tutti i condòmini, loro eredi ed aventi causa tra cui, in caso di locazione, gli inquilini, (salvo l'onere per i proprietari di farlo accettare con la sottoscrizione del contratto di locazione ai locatari).

I divieti contenuti nel regolamento condominiale
Nel caso di specie, l'articolo 10 - invocato da parte attrice che chiedeva la cessazione dell'attività di ristorazione, avviata a sèguito di cambio di destinazione di uso dei locali al piano terra - dispone che: “E' vietato: a) la destinazione degli appartamenti ad uso diverso da abitazione o di ufficio di tutto decoro, ad eccezione del piano terra che potrà avere destinazione a negozi, magazzini, laboratori, ed il seminterrato e sotterraneo a deposito; b) la destinazione dei locali ad uso uffici pubblici, sale da ballo o di ritrovo ed in genere a qualsiasi uso contrario alla morale, al carattere di signorilità dell'edificio e che comunque possa turbare la tranquillità dei condòmini”.

A sua volta, il patto 6 del Regolamento stabilisce che: «sono vietate le innovazioni di qualsiasi natura che possano recare pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato e ne alterino il decoro architettonico o rendano inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino alcune parti comuni dell'edificio”. L'articolo 9, prevede infine che “è pure proibito qualsiasi lavoro (cioè opera, n.d.r.) che comprometta o modifichi la stabilità dell'edificio».

I precedenti giurisprudenziali
Secondo consolidata giurisprudenza, “i divieti e i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare; e in quest'ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condòmini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze” (cfr. Cassazione, ordinanza 11 settembre 2014, n. 19229).

Sulla scorta di tali princìpi, ci ricorda la Suprema Corte – relativamente ad un caso simile a quello oggetto di causa –‘‘L'apertura di una pizzeria all'interno dello stabile in condominio, rientrando nelle peculiarità tipiche del diritto dei singoli proprietari, non può essere vietata in assenza di una esplicita, chiara ed incontrovertibile clausola regolamentare di origine contrattuale” (cfr. Cassazione, sentenza 20 ottobre 2016, numero 21307).

La decisione
In definitiva, le clausole limitative dell'uso della proprietà individuale per essere efficaci, devono essere formulate in modo espresso, così da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e sulla portata della disposizione precettiva, non potendosi fare ricorso all'analogia o all'interpretazione estensiva.

Nella specie – osserva il Tribunale di Milano - “tra le attività vietate non rientra l'attività esercitata dall'attore (cioè quella di ristorazione, ndr) e le limitazioni imposte alla sfera di proprietà dei singoli condòmini vanno, com'è noto, espressamente accettate o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento stesso”.

Poiché il regolamento non vieta espressamente l'esercizio dell'attività di ristorazione, né altre limitazioni specifiche che potrebbero essere immediatamente ricondotte a tale attività (quali, ad esempio, orari di chiusura del cancello condominiale), la domanda di cessazione dell'attività è stata respinta.

Tanto più che, anche il pregiudizio lamentato in relazione alla carenza di adeguati impianti di ricambio aria e di “future immissioni” è risultato sfornito di prova e di scarsa consistenza, tenuto conto che lo stesso Regolamento condominiale autorizza esplicitamente, l'esercizio di laboratori al piano terra, senza specificare quale tipo di laboratorio possa essere consentito.

In tale contesto - osserva il Tribunale di Milano nella sentenza 9/2020 - nel condominio in questione potrebbero liberamente operare esemplificativamente un laboratorio di prodotti da cucina o da forno (attivo durante l'intero arco della giornata e/o della notte, come nel caso di panificio o di pasticceria), il quale notoriamente produce immissioni di fumi alimentari del tutto analoghi o forse anche in misura superiore ad un ristorante (le cui cucine sono attive solo in determinati orari).

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