Condominio

Per cambiare la destinazione d’uso di un locale condominiale serve l’assemblea

Nel caso specifico al posto di una lavanderia era stato aperto un pub ristorante

di Va. S.

È possibile modificare la destinazione d'uso di un locale senza avvertire l'assemblea condominiale? La risposta ci arriva dall'ordinanza della Cassazione n°4710 del 2020, originata dalla decisione di due condòmini di locare le proprie unità immobiliari ad una birreria, senza avvertire preventivamente l'amministratore del condominio, ponendo la loro condotta in violazione con il regolamento condominiale nel quale era previsto che le singole unità immobiliari erano destinate ad uso di civile abitazione, lasciando qualsiasi altra destinazione all'autorizzazione dall'Assemblea con la totalità dei millesimi condominiali.

Il caso in esame
Il condominio ed un gruppo di condòmini citavano, perciò, le due parti contraenti davanti al Tribunale di Torino, chiedendo l'accertamento della violazione e la cessazione dell'attività, nonché il risarcimento del danno comprensivo di danno biologico.

Gli attori chiedevano, inoltre, la dichiarazione di superamento delle immissioni sonore della normale soglia di tollerabilità con relativo risarcimento del danno, e l'ordine di rimuovere il condizionatore installato all'interno del cortile condominiale, in quanto anch'esso in violazione del regolamento.

Il vizio procedurale
Nel costituirsi, i convenuti eccepivano l'improcedibilità del giudizio e la sua estinzione, per irregolarità relative alla notificazione dell'atto di citazione. Infatti, i primi due atti di citazione non contenevano, tra gli avvertimenti relativi alle preclusioni e decadenze, quello relativo alla possibilità di eccepire l'incompetenza. In un primo momento, infatti, il giudice aveva rilevato la nullità dell'atto di citazione in quanto aveva indicato ai convenuti un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, ordinandone, quindi, la rinnovazione con l'assegnazione del termine previsto dall'articolo 163 bis Codice procedura civile.

Gli attori, rinnovando la citazione, presentavano, tuttavia, il vizio, già presente nella prima citazione ma senza che fosse stato oggetto di rilievo. La parte attrice, non costituendosi i convenuti, chiedeva di regolarizzare l'atto e ripetere le notifiche alle controparti.

Il giudice concedeva il termine, mentre a detta dei convenuti, successivamente costituitisi, avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione del giudizio ex articolo 307, commi 3-4, Codice procedura civile contestando, inoltre, tutte le affermazioni attoree, eccependo, in particolare, come la destinazione ad uso commerciale dei locali fosse antecedente al regolamento contrattuale e le immissioni di rumori, derivanti dallo svolgimento della loro attività commerciale, non superassero la soglia di tollerabilità.

L'impianto di condizionamento posto nel cortile, infine, era stato installato in modo pienamente conforme tanto alle prescrizioni di legge che a quelle condominiali.

Le decisioni di primo e secondo grado
Il Tribunale di Torino dichiarava fondata la domanda attorea, rilevando che l'articolo 307 Codice di procedura civile prevede l'estinzione del processo nel caso in cui le parti non ottemperino all'ordine di rinnovazione entro il termine perentorio ma non prevede un numero massimo di rinnovazioni dell'atto di citazione.

Il regolamento condominiale
Nel 1981, con la redazione del regolamento condominiale, l'allora unico proprietario dispose che le singole unità immobiliari fossero destinate a uso abitativo e qualsiasi altra destinazione dovesse essere autorizzata dall'assemblea con la totalità dei millesimi condominiali, non vietando, perciò, lo svolgimento di attività commerciali, ma subordinandolo all'approvazione unanime dei condòmini.

Dal momento che dall'adozione del regolamento fino al 2010 non vi furono mutamenti nell'attività commerciale svolta nei locali dei convenuti, il mancato consenso dell'assemblea andava inteso come un'accettazione di fatto esclusivamente della pregressa attività commerciale. Una volta cessata questa attività, era onere chiedere all'assemblea condominiale l'autorizzazione per lo svolgimento di una nuova attività commerciale. Ciò anche alla luce delle caratteristiche profondamente diverse che intercorrevano tra la vecchia attività di lavanderia e quella iniziata dai convenuti di pub ristorante.

Dall'esito della Ctu, emergeva come l'attività svolta nel locale avesse provocato disagi, non solo ai condòmini, ma anche al resto del vicinato, ponendosi in contrasto con il regolamento condominiale. Il Tribunale ordinava anche la rimozione del condizionatore, in quanto il regolamento stesso vietaval'occupazione anche temporanea del cortile, delle scale ed in genere delle parti di uso comune, disattendendo, tuttavia, le domande attoree di risarcimento danni in quanto i disagi derivanti dall'esposizione ai rumori non avevano integrato un danno biologico permanente.

Il ricorso in Cassazione
Contro questa sentenza, i locatori ricorrevano in Cassazione sulla base di un unico motivo, lamentando che, poiché i primi due atti di citazione erano entrambi nulli, la concessione di un doppio termine per rinnovare la citazione, senza indicarne le ragioni, fosse del tutto erronea e illegittima, trattandosi di un termine perentorio, non prorogabile, né tantomeno reiterabile. Gli ermellini, rigettando il ricorso, hanno motivato la loro pronuncia sul fatto che se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione ai sensi del primo comma, ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell'articolo 307, comma terzo.

Pertanto i casi ai quali consegue l'estinzione di diritto di cui all'articolo 307, sono quelli della mancata ottemperanza all'ordine di rinnovazione. Nel caso esaminato la vicenda non rientra in alcuna di queste ipotesi. La mancata indicazione dell'avvertimento non fu rilevata in occasione dell'emissione del primo ordine di rinnovazione della citazione, ma fu oggetto di riscontro da parte del giudice solo nella seconda udienza.

Pertanto, nessun comportamento inerte poteva essere addebitato ai controricorrenti, i quali al contrario, in sede di prima rinnovazione, eseguirono correttamente e tempestivamente l'ordine impartito dal giudice.

Inoltre, non c’è alcuna norma che impedisca di rilevare, a seguito di una rinnovazione già avvenuta, nuovi vizi, così come non è indicato un numero massimo di rinnovazioni possibili dell'atto di citazione, purché siano eseguite nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge.

La decisione della Corte
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

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