Condominio

L’impresa non ha i permessi edilizi ma il condominio non può chiedere i danni

Il caso in esame si riferiva a lavori di ristrutturazione in uno stabile. Il condominio non ha ottenuto risarcimento perchè non ha dimostrato di aver subito danno dagli stessi

di Va. S.


Se un condòmino, senza violare i limiti di cui all'articolo 1102 Codice civile, fa uso della cosa comune, la mancanza di concessioni od autorizzazioni amministrative, non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione. È quanto emerso dalla sentenza della Cassazione n°4439 del 2020, pronunciata sul ricorso di una società, condòmina di un immobile, contro la sentenza della corte d'appello di Milano.

Quest'ultima, decidendo sull'impugnazione proposta dalla ditta nei confronti della società che aveva effettuato lavori nell'immobile aveva condannato quest'ultima al ripristino del portale di ingresso dell'edificio ed al versamento di euro 5.000,00 a titolo di risarcimento.

Per il resto, confermava la decisione di primo grado per la quale i potenziali profili di irregolarità amministrativa riguardanti i lavori, riferendosi al rapporto fra il privato e la pubblica amministrazione, erano privi di rilievo.

Inoltre dovevano ritenersi oggetto di proprietà comune anche i muri portanti interni alle porzioni di proprietà esclusiva, alla cui demolizione era seguito un contestuale rinforzo di altre strutture, la cui idoneità era comprovata dall'assenza di fessurazioni o cedimenti di sorta.

Quanto alle modifiche del locale caldaia, fatte per la realizzazione dell'ascensore, senza un preventivo parere sulla loro fattibilità, non susstisteva dimostrazione alcuna che tale assenza avesse provocato un danno.

Il ricorso alla Suprema Corte
La società ricorreva in Cassazione sulla base di quattro motivi, nel primo dei quali si sottolineava che gli apprezzamenti espressi dal consulente non potevano sostituire l'assenza degli elaborati previsti dalla legge, costituenti norme imperative, in quanto strumentali alla tutela della pubblica e privata incolumità.

Per gli ermellini, dall'esposizione del motivo di appello contenuto nella sentenza impugnata era emerso che la ricorrente si era lamentata soltanto di falsità che avrebbero caratterizzato la dichiarazione di inizio dei lavori e della ritardata denuncia delle opere in cemento armato, non specificando quando la Corte avrebbe censurato la sentenza di primo grado per non avere preso atto dell'assenza degli elaborati dei quali ci si riferiva in ricorso.

Nei rapporti interprivatistici, non acquisisce rilievo in sé la violazione delle regole procedimentali dettate dal legislatore con riguardo allo svolgimento dell'attività edilizia, se non si deduca e dimostri che, in concreto, la inosservanza di una norma si sia tradotta nel concreto pregiudizio degli interessi perseguiti dalla normativa in materia condominiale.

Nel secondo motivo, il ricorrente rilevava che solo ingegneri e architetti hanno la competenza a valutare opere che incidono sulla statica degli edifici, con la conseguenza che il parere espresso dal semplice geometra non poteva essere posto a fondamento della decisione. Una rimostranza infondata in quanto le norme relative alla scelta del consulente tecnico d'ufficio hanno natura e finalità esclusivamente direttive, essendo la scelta riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Con il terzo motivo, il ricorrente rilevava che le demolizioni di muri portanti aveva violato l'articolo 1102, per effetto della appropriazione della superficie e del volume preesistenti, concorrendo a modificare il diritto di comproprietà sulle parti comuni. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente lamentava che la realizzazione di una nuova unità immobiliare percepibile dall'esterno e dotata di propri ingressi comportava una innovazione vietata, alterando la consistenza dello stabile condominiale, aumentando proporzionalmente il diritto del condòmino sulle parti comuni, incidendo sul carico statico dell'edificio ed alterando l'armonia e l'estetica della costruzione.

Due motivi, questi ultimi, esaminati congiuntamente e giudicati infondati. La norma di cui all'articolo 1120 Codice civile, nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condòmini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportino, per tutti i condòmini, oneri di spesa.

I limiti all’utilizzo della cosa comune
In caso contrario, opera il principio generale in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.

Sotto questo profilo, la Corte d'appello aveva escluso che le opere avessero danneggiato le parti comuni, ritenendo, inoltre, legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato anche all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condòmino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva.

Per quanto riguarda l'alterazione del peso proporzionale di proprietà delle cose comuni, in ipotesi di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio, non si determina alcuna automatica incidenza dell'opera sulle tabelle millesimali ai fini della revisione dei valori delle unità immobiliari, mentre, per quanto riguarda l'alterazione del decoro architettonico, la motivata valutazione del giudice di merito era insindacabile in sede di legittimità.

La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio di legittimità.

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