Condominio

Tre principi per la rivendica delle parti comuni dell’edificio

Al condomino convenuto basta eccepire la proprietà esclusiva nell'ambito del condominio per provare anche la comproprietà dei beni comuni

di Rosario Dolce

Tra le cause condominiali di maggiore rilievo e impatto, ci sono quelle che riguardano la configurazione di parte parte comune o meno, di una parte del cortile o della strada di accesso ai fabbricati. Una recente Ordinanza della Corte di Cassazione – la numero 3852 del 17 febbraio 2020 - enuncia tre principi di diritto fondamentali, quando si è in presenza di un'azione di rivendica, formulata, in termini di domanda riconvenzionale, contro il condominio e/o i singoli condòmini.

Primo principio: il titolo contrario
L'individuazione delle parti comuni operata dall'articolo 1117 codice civile – nel caso trattato dai giudici di legittimità, si discuteva di cortili e area scoperta tra i corpi di fabbricato (per luce e aria agli ambienti circostanti, oltre che destinata a spazio verde e parcheggio) - genera una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini, la quale è superabile solo con specifici atti o documenti.
Anzi, l'unico modo per vincere questa presunzione è quello di offrire un titolo contrario e diretto, possibilmente contestualizzato all'epoca di formazione (o meglio, costituzione) del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (in punto, Cassazione civile, Sezioni Unite, 07/07/1993 n. 7449).

Secondo principio: la trascrizione
La comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate dall'articolo 1117 codice civile sorge nel momento in cui più soggetti diventano proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l'edificio.
Per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponile ai terzi dalla data dell'eseguita formalità (Cassazione civile del 09/12/1974, n. 4119).

Quanto a questo ultimo aspetto, è stato pure argomentato che la questione relativa alla mancata trascrizione di una clausola del regolamento di condominio - contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di questi limiti ai terzi acquirenti - non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata (Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 19-03-2018, n. 6769)

Terzo principio: effetti della presunzione legale
La “presunzione legale” di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo del bene, sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali.

In quanto tale, la predetta “presunzione legale” dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta “probatio diabolica”, la prova del diavolo, quella impossibile.

In altre parole, ai condòmini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all'articolo 1117 codice civile basta dimostrare la rispettiva proprietà esclusiva nell'ambito del condominio per provare anche la comproprietà di quei beni che questa norma contempla.

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