Condominio

L’amministratore e l’appropriazione indebita, un caso da manuale

Si verifica quando dispone come proprie delle somme versate dai condomini

di Giulio Benedetti

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 37300/2019) afferma che l'amministratore instaura con i condòmini un contratto di mandato , per il compimento di più atti giuridici nell'interesse dei condòmini, in cui può ricevere somme di denaro per provvedere all'esecuzione di specifici pagamenti o da riversare nella cassa condominiale per fare fronte alle spese secondo i bilanci approvati dall'assemblea.

La gestione del denaro
L'amministratore deve effettuare i pagamenti secondo le modalità e i termini convenuti, ed è tenuto ad una generale destinazione dei fondi confluiti sul conto comune alle spese condominiali, secondo le modalità stabilite dall'assemblea con obbligo di rendiconto e di restituzione alla scadenza di quanto ricevuto nell'esercizio del mandato , ai sensi dell'articolo 1713 Codice civile.

L'amministratore , in qualità di mandatario, deve rendere ai condòmini il conto del suo operato e deve riconsegnare tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato. Per l'articolo 1714 Codice civile l'amministratore, in qualità di mandatario, deve corrispondere ai condòmini, mandanti, gli interessi legali sulle somme riscosse per loro conto con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto restituirle.

L’appropriazione indebita
Quando l'amministratore ha in gestione il denaro altrui il reato di appropriazione indebita si realizza nel momento in cui si comporti con lo stesso come padrone e compia atti con la volontà di trattare il denaro dei condòmini come proprio. Il reato avviene quando l'amministratore destini le somme ricevute dai condòmini ad una destinazione incompatibile con il mandato ricevuto e coerente con le sue finalità personali. La Corte di Cassazione sosteneva che il reato sussiste anche nella ipotesi in cui l'amministratore avesse eseguito un travaso di fondi dalla cassa di un condomino ad un altro , poiché il delitto di appropriazione indebita è integrato anche dal fine di procurare ad altri un ingiusto profitto.

La difesa dell’amministratore
Questi principi sono stati ripresi dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 3816/2020) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore di condòminio avverso la sentenza di sua condanna per appropriazione indebita aggravata e continuata. L'amministratore si difendeva affermando l'insussistenza del reato in quanto il condominio non disponeva di un proprio conto corrente bancario , inoltre affermava di non avere superato i limiti del mandato ricevuto in merito all'accusa di avere investito il denaro dei condòmini in titoli di stato.

La pronuncia della Suprema Corte
La Corte di Cassazione riteneva che l'amministratore aveva commesso reiterate appropriazioni indebite poiché , senza l'autorizzazione dell'assemblea e senza giustificato motivo aveva azzerato il saldo del libretto di risparmio su cui aveva riversato le somme del condominio. In particolare l'amministratore non provava , con idonea documentazione, di avere corrisposto parte di queste somme ai condòmini che non avevano aderito ad una transazione e al difensore che aveva assistito il condomino nella relativa vertenza giudiziaria .

Inoltre l'amministratore non documentava l'effettuazione di lavori urgenti , in previsione dei quali il condominio aveva accantonato ulteriori fondi. L'amministratore , nel corso di un'assemblea condominiale, prometteva ai condòmini , che gli contestavano plurimi ammanchi, che il lunedì successivo avrebbe sanato la situazione , versando quanto dovuto. Tuttavia non aveva pagato dovuto e si era reso irreperibile: così i soldi degli altri erano diventati quelli dell'amministratore. Perciò la Corte di Cassazione , dichiarando inammissibile il ricorso, riteneva che l'amministratore avesse compiuto il reato e lo condannava a versare euro duemila alla cassa delle ammende.

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