Condominio

Quando arriva l’ingiunzione fiscale di pagamento per l’acqua

di Michele Orefice

In condominio capita spesso che l'amministratore sia destinatario di ingiunzioni fiscali, da parte degli enti gestori e fornitori del servizio idrico, che intimano il pagamento di somme dovute in ordine a fatture acqua risalenti nel tempo, sotto pena dell'inizio della procedura esecutiva.

Ingiunzione «fiscale»
Le ingiunzioni fiscali sono strumenti, che vengono utilizzati dagli enti locali, soprattutto dai comuni, o da terzi affidatari a ciò delegati, per intimare ai contribuenti di pagare il debito entro un certo termine, di solito nei trenta giorni.

Trascorso tale termine, nel caso in cui il debitore si dovesse rifiutare di corrispondere la somma ingiunta o non proponesse opposizione all'ingiunzione nei termini prescritti, l'ente impositore potrebbe procedere nei suoi confronti sospendeno con l'esecuzione forzata. In definitiva, l'ingiunzione fiscale si configura come un atto amministrativo complesso, con funzione esecutiva di tipo monitorio, equiparabile ad un provvedimento autoritario, che esplica il potere di autotutela dell'amministrazione pubblica.

La prassi dei Comuni
In termini di riscossione coattiva gli atti ingiuntivi fiscali, seppure risalenti al Regio Decreto n. 639 del 14/04/1910, ancora oggi rappresentano la prassi consolidata di molti Comuni, che continuano a pretendere di incassare dai condomìni ingenti somme a titolo di canoni acqua pregressi, dopo aver accumulato notevoli ritardi nella riscossione delle relative fatture, a causa della negligenza dei loro uffici.

Tale prassi è causa di notevoli difficoltà in condominio, soprattutto se il debito è alto e si è costretti a fare i conti con condòmini che non erano titolari dell'immobile al tempo in cui venivano effettuati i consumi, perché in questo caso nessuno vuol pagare il debito del vecchio proprietario.

Ma non basta, perché le difficoltà potrebbero acuirsi nel caso in cui agli atti del condominio non vi dovesse essere traccia delle spese relative alle fatture acqua insolute, neanche nei verbali d'assemblea o nelle ripartizioni consuntive degli anni in cui avveniva il consumo.

In condominio
Per non parlare, poi, delle ulteriori difficoltà da affrontare negli edifici condominiali in cui le unità immobiliari non risultino dotate di contatori divisionali, vista l'impossibilità di rilevare la lettura dei consumi individuali.

Insomma, in assenza di saldi per canoni idrici pregressi, prima di approvare un riparto per le spese della fattura dell'acqua, che in mancanza di contatori di sottrazione va effettuata in base ai millesimi di proprietà (Corte di Cassazione – sentenza n. 17557 del 01/08/2014), sarà bene valutare tutte le variabili del caso, per evitare impugnative di delibera, soprattutto da parte di chi non rivestiva la qualità di condomino al tempo dei consumi.

La contestazione
Queste circostanze potrebbero indurre l'amministratore e i condòmini a tentare immediatamente la via giudiziale, per contestare la legittimità dell'ingiunzione fiscale di pagamento ed evitare ulteriori pregiudizi al condominio. In pratica il condominio potrebbe decidere di procedere a depositare un ricorso, ai sensi dell'articolo 3 del Regio Decreto n. 639 del 1910, entro trenta giorni dalla notificazione dell'ingiunzione, per chiedere al giudice ordinario l'emissione di un ordinanza di sospensione e annullamento dell'atto ingiuntivo impugnato.

Il motivo principale di eccezione, che spinge i condòmini a chiedere l'annullamento dell'ingiunzione, è rappresentato dal decorso del tempo, ossia il fatto che l'ente impositore si sia svegliato dopo troppo tempo per pretendere le somme acqua dovute in passato. In proposito è noto che l'inerzia del titolare estingue il diritto.

La prescrizione
Infatti, il trascorrere di un certo periodo di tempo e la mancanza di atti interruttivi notificati nei termini, può azionare la prescrizione di cui agli articoli 2934 e seguenti del codice civile, estinguendo il diritto del creditore a riscuotere i debiti antecedenti ad una certa data. Pertanto, per far valere la prescrizione, non basta il trascorrere del tempo, ma è necessario che il titolare del diritto sia rimasto inerte.

La «messa in mora»
Ciò significa che prima di far valere la prescrizione occorre verificare se non siano stati inviati al condominio atti in grado di interrompere il decorso del termine, che non possono consistere in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento (Corte di Cassazione – sentenza n. 17123/2015, 3371/2010), ma devono essere, al contrario, atti comprensivi della cosiddetta “costituzione in mora”, ossia una richiesta scritta che è idonea a dichiarare inequivocabilmente la volontà del creditore di far valere il proprio diritto nei confronti dell'obbligato (Corte di Cassazione – sentenza n. 24116 del 28/11/2016).

Tuttavia, come già accennato, non è detto che l'amministratore riesca a rintracciare nei documenti condominiali le eventuali missive di messe in mora inviate dal gestore del servizio idrico molti anni prima, in quanto è possibile che la documentazione sia andata dispersa nel tempo, per l'inadempienza di chi amministrava in precedenza.

Amministratori e «distrazioni»
Del resto, in passato sono stati tanti gli amministratori che hanno utilizzato i soldi destinati ai canoni idrici per “fare dell'altro”, senza riportare i debiti delle fatture acqua nelle passività del rendiconto condominiale, preoccupandosi pure di cestinare la relativa documentazione, sulla scorta del convincimento che tanto il servizio non poteva essere interrotto dall'ente erogatore e i condòmini non potevano essere obbligati a pagare i consumi dell'acqua, come se il servizio fosse frutto di liberalità.

Ciò non toglie, comunque, che l'ingiunzione delle bollette scadute possa essere fondata su crediti ormai prescritti, per inerzia del creditore, e quindi è conveniente che l'amministratore richieda all'ente impositore di fornire copia delle messe in mora inviate al condominio.

La prescrizione breve
In ogni caso, in base al disposto dell'articolo 2935 del Codice civile, la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, che nel caso della fornitura idrica coincide con la data di scadenza della fattura emessa per il servizio. In generale, la prescrizione si compie in dieci anni (ordinaria), salvo che si tratti di diritti prescrivibili in termini diversi, più o meno lunghi, a seconda del diritto che ne costituisce oggetto.

Nel caso della riscossione delle fatture di acqua, luce e gas la prescrizione applicabile è sempre stata quinquennale (breve), che dal 1 gennaio 2020 è stata ridotta a due anni, ma solo per i gestori ritardatari nell'emissione della fatturazione, che in tal caso perdono il diritto alla riscossione degli importi antecedenti agli ultimi due anni, per effetto della legge n. 205/2017 articolo 1 commi da 4 a 10 (legge di bilancio 2018).

Il meccanismo della prescrizione breve si applica a tutti gli atti di riscossione coattiva di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, per entrate tributarie ed extratributarie (Corte di Cassazione Sezioni Unite – sentenza n. 23397 del 17/11/2016).

Entrate patrimoniali
Le utenze per canoni idrici facendo parte delle prestazioni di servizi rese dagli enti rientrano nelle cosiddette entrate patrimoniali extratributarie, sebbene la natura delle tariffe acqua sia piuttosto discutibile.

I dubbi nascono proprio dal fatto che le tariffe acqua si trovano in una sorta di limbo, al confine tra tributi e prezzi, in quanto, da un lato riguardando un servizio pubblico erogato da un organismo pubblico, e dall'altro prevedono il pagamento in base all'utilizzazione del servizio.

La differenza tra tributi e prezzi non è di poco sotto il profilo procedurale, tant'è vero che per la riscossione dei prezzi occorre un titolo esecutivo emesso dal giudice, mentre per i tributi è sufficiente un atto amministrativo unilaterale emesso dall'ente in via di autotutela.

Rapporto contrattuale
Sulla questione vige il principio che i canoni dovuti per l'erogazione dell'acqua potabile ad uso domestico si configurano come prestazioni corrispettive di un contratto su basi paritetiche (Corte di Cassazione a sezioni unite – sentenza n. 10976 del 9 agosto 2001).

Ne consegue che in virtù della natura contrattuale del corrispettivo le fatture emesse dall'ente erogatore non possano raffigurare un titolo esecutivo autonomo, con la conseguenza che, per essere riscosse tramite iscrizione a ruolo, devono risultare da un titolo avente efficacia esecutiva, tipo l'ingiunzione di pagamento di cui al Regio Decreto n. 639 del 14 aprile 1910 (Corte di Cassazione sentenza n. 14628 del 04.07.2011).

Però soltanto i soggetti di cui all'articolo 1 del Regio Decreto suddetto possono usufruire del procedimento di riscossione ingiunzionale, cioè lo Stato alcuni Fondi ed Enti Territoriali, nonché “altri enti pubblici successivamente istituiti, indicati in leggi speciali”, tant'è che le società di natura privata, che gestiscono il servizio idrico, anche se a partecipazione pubblica, non sono autorizzate ad utilizzare l'ingiunzione fiscale per riscuotere dal condominio le somme dovute per i servizi idrici integrati, salvo autorizzazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze di cui all'articolo 17 commi 3 bis e 3 ter del Decreto Legislativo n. 46 del 26 febbraio 1999 (Tribunale di Milano – sentenza n. 12235 del 07/11/2016).

In altri termini il Tribunale di Milano ha escluso l'esistenza di norme specifiche che legittimano l'ingiunzione fiscale dei privati, rifacendosi alla regola vigente nel Regio Decreto citato, ma si sa che ogni sentenza va vista in funzione del caso trattato. Tanto basta per ritenere che la questione sulla legittimità delle ingiunzioni fiscali non sia semplice da dirimere, vista l'assenza di una norma chiara in tal senso, ragion per cui è consigliabile valutarne i presupposti, con cautela, prima di opporsi in via giudiziale.

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